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Tommaseo, il cosmopolita dal cuore italiano (opinione.it 26 ago)

Nato in Dalmazia, da genitori italiani, come molti dalmati dell’epoca, a causa della pregressa dominazione veneta, Niccolò Tommaseo era di cultura e di sentimenti italiani. Fece i suoi primi studi con uno zio, un frate francescano, e poi li proseguì al Seminario di Spalato. Passò, quindi, a Padova, per studiare diritto, alloggiando presso il Seminario ove conobbe Rosmini, allora studente di teologia. I due divennero amici, legati da una reciproca stima che durerà nel tempo (sarà ospite di Rosmini a Rovereto).

Dopo gli studi di diritto, andò a Milano, lavorando come giornalista e frequentando altri personaggi del mondo intellettuale cattolico tra cui Cesare Cantù e il Manzoni, verso il quale nutrirà sempre una grande stima e che Manzoni ricambierà con un atteggiamento benevolo. Iniziò anche a collaborare all’«Antologia» di Vieusseux e fu per questo motivo che si trasferì a Firenze (1827), dove il Vieusseux gli aveva offerto una collaborazione fissa. Qui strinse amicizia con Gino Capponi e durante il suo soggiorno fiorentino ebbe una sofferta relazione amorosa con una popolana. A causa delle proteste del governo austriaco per un suo articolo a favore della rivoluzione greca, però, dovette lasciare Firenze per Parigi dove arrivò da esule squattrinato e irrequieto e dove pubblicò, fra l’altro, l’opera politica «Dell’Italia» (1835), la cui stampa fu finanziata da un suo ex compagno di studi, il sacerdote Giovanni Stefani, che aiutava generosamente i fuorusciti italiani.

L’opera fu introdotta in Italia con il titolo, volutamente contraffatto, per motivi di censura, «Opuscoli inediti di Fra Girolamo Savonarola». Da Parigi fece una puntata in Svizzera per incontrare Mazzini. Dopo quest’incontro i suoi sentimenti repubblicani e antisabaudi saranno più determinati. Passati alcuni anni a Parigi, si spostò in Corsica per le sue ricerche di italianistica e in quell’occasione definì la lingua corsa come il più puro dei dialetti italiani. Dalla Corsica passò a Venezia: qui proseguì la sua poliedrica produzione editoriale e intensificò il suo impegno politico. A seguito di alcune sue dichiarazioni sulla libertà di stampa, venne arrestato dalla polizia asburgica (1847). Fu liberato assieme a Daniele Manin e, durante il periodo della Repubblica di San Marco, assunse importanti incarichi (fu anche Ministro della Pubblica Istruzione).

Ritornati gli austriaci a Venezia, andò in esilio a Corfù (1849), allora sotto il controllo britannico, dove continuò a scrivere altri saggi, tra cui una monografia in due volumi sugli ultimi avvenimenti politici veneziani e l’opera «Rome et le monde», in lingua francese, in cui, in quanto cattolico, dichiarava la necessità della rinuncia da parte della Chiesa del potere temporale. Si adoperò anche per un riavvicinamento tra la Chiesa Cattolica e gli Ortodossi. Contemporaneamente era diventato insofferente per la cosiddetta via moderata all’unità d’Italia, da raggiungere tramite la monarchia sabauda.

Si trasferì, anche se a malincuore, a Torino, ma ritornò presto a Firenze (1859), dove restò fino alla morte. Furono anni di ristrettezze finanziarie e vi condusse un’esistenza appartata e interamente dedicata agli studi. Fra gli amici che gli rimasero vicino vi fu Gino Capponi. Qui la sua opposizione verso i Savoia e la politica unitaria di Cavour divenne radicale, tanto da rifiutare, con dignità e coerenza, alcuni riconoscimenti ufficiali, tra cui la cattedra universitaria offertagli dal ministro F. De Sanctis, la prebenda del nuovo governo nazionale e la nomina a senatore del Regno. Tommaseo s’impegnò in molti settori dell’attività letteraria. In lessicografia è presente con due opere, ancor oggi, fondamentali: il «Dizionario dei sinonimi» e il «Dizionario della lingua italiana» (in otto volumi). Negli studi etnografici si distinse con la raccolta, in quattro volumi, di canti popolari (toscani, corsi, illirici, greci).

Nell’attività di critica letteraria si schierò con i romantici nella polemica sulla lingua e redasse un notevole commento alla Divina Commedia (tre volumi) in cui mise in evidenza le fonti bibliche del poema dantesco. In narrativa si affermò con il romanzo «Fede e Bellezza», in parte autobiografico, in cui narra la storia d’amore di Giovanni, esule italiano in Francia, per la bella Maria, anch’essa italiana, i quali provenivano, entrambi, da esperienze provate dalla sventura e segnate dal peccato e che, tuttavia, erano animati da una forte fede religiosa, talvolta offuscata, ma mai perduta. Pubblicò anche raccolte di poesie, fra cui ricordiamo «Confessioni», versi tipici per l’accorata cristiana introspezione. Fu veramente un protagonista della vita letteraria di metà Ottocento. Nutrì grande attenzione ai problemi della lingua italiana ed ebbe una grande sensibilità per la poesia e le tradizioni popolari.

Amò l’Italia e si sentì sempre veneziano ed italiano (benché fosse nato in Dalmazia), pur nutrendo, allo stesso tempo, sentimenti cosmopoliti. Tommaseo è una figura significativa fra i cattolici liberali italiani dell’Ottocento, pur se avvertì fortemente, nelle sue carni, le contraddizioni fra i valori cristiani e le istanze della modernità. Ebbe rapporti diretti con i cattolici liberali francesi, in particolare con de Lamennais. Lacordaire e Montalembert, che incontrò prima a Firenze e poi a Parigi. Fu un lettore entusiasta di l’Avenir, di cui si era proposto di pubblicare una miscellanea di articoli tradotti in italiano, con il titolo Dio e libertà, che era il motto de l’Avenir. Il pensiero di Tommaseo deve molto al cattolicesimo liberale francese, anche se Tommaseo non condivise sempre il pensiero di de Lamennais: la ricca corrispondenza intercorsa con loro lo dimostra ampiamente. D’altronde già nell’«Antologia» Tommaseo aveva scritto che «erroneamente nel passato si sia ritenuto il Cristianesimo contrario alla libertà».

E nella circolare (scritta da Vieusseux, Lambruschini e Tommaseo) del 1833, inviata ai collaboratori dell’«Antologia», si affermavano gli ideali sociali, cioè il grande interesse di voler porre «al centro dell’attenzione del nuovo anno la questione delle classi inferiori, la questione delle donne e quella dei proletari». Tommaseo aderì convintamente al cristianesimo e nel suo romanzo «Fede e Bellezza», vi sono le attestazioni più evidenti. Poiché ebbe una parte non secondaria nei moti politici di quegli anni, alcuni hanno visto una qualche contraddizione tra il suo profondo sentimento religioso e il suo generoso slancio rivoluzionario. Il cattolico Tommaseo visse la sua fede religiosa in una drammatica tensione tra colpa ed espiazione, tra peccato e pentimento.

Con il suo liberalismo, si propose di dimostrare la piena compatibilità del cattolicesimo con le moderne idee di libertà e di progresso. Voleva arrivare, o almeno avvicinarsi, «al punto, ove il paese potesse governarsi da se stesso mediante la democrazia». La sua azione politica era di prospettiva: «il raggiungimento dell’indipendenza nazionale, con il favore di un’iniziativa del popolo perché il processo fosse il più consensuale possibile». L’unità d’Italia per Tommaseo era un fatto di popolo perché «bisognava valorizzare la storia dei popoli e rivolgere l’attenzione all’elevazione del popolo». Era convinto che «i protagonisti della storia siano i popoli, perché in essi si depositano i grandi valori». In Tommaseo si confrontano costantemente, anche se non sempre in maniera armoniosa, fede religiosa e ricerca della libertà, patriottismo e difesa della tradizione italiana, l’ideale federalista e l’avversione alla potenza della monarchia sabauda.

 

Niccolò Dimivi

www.opinione.it 26 agosto 2012

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