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Tomizza, un destino di frontiera da raccontare in immagini (Il Piccolo 29 lug)

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

TRIESTE I suoi libri sono lì, il tavolo su cui scriveva anche. Sull’orizzonte della finestra compare la meraviglia della terra istriana, tormentata da sempre, che lui amava. Manca solo Fulvio Tomizza in quella fotografia. E l’assenza del suo volto, del suo sorriso dolceamaro, dei suoi occhi limpidi e profondi, fa ricordare a chi guarda l’immagine che sono trascorsi già dieci anni dalla morte dello scrittore di ”Materada”, ”La miglior vita”, ”Gli sposi di via Rossetti”.

Altra inquadratura, questa volta in esterno. La finestra è chiusa, la sua stanza di lavoro inaccessibile. E anche se le fotografie sono prive della dimensione sonora, sembra di sentire il silenzio attorno alla casa di Momichía in Istria, quel buen retiro che Tomizza amava tanto. Quel microcosmo ai confini del mondo, eppure così vicino alle frontiere che dividevano l’Italia dall’ex Jugoslavia, dove hanno preso forma i suoi libri più belli.

Bisogna spostarsi ancora. Ritrovare con gli occhi l’inquadratura che scopre Tomizza affacciato alla finestra della casa istriana. Una mano indica il cielo, gli occhi sembrano inseguire il rincorrersi delle nuvole verso il sole. Tutto attorno, una cornice di pietre istriane, di materiali da costruzione poveri, testimonianza di un mondo umile. Che ha conosciuto nel fluire dei secoli una storia tormentata.

Ecco, da qui, da questa sequenza di immagini, potrebbe partire il viaggio dentro il mondo dello scrittore. Elvio Guagnini, Gianni Cimador, Marta Angela Agostina Moretto, i curatori, hanno voluto trasformare quel viaggio in una mostra. Che si intitola ”Fulvio Tomizza. Destino di frontiera”. Riprendendo il titolo di un libro-conversazione che lo scrittore nato a Giurizzani, nella parrocchia di Materada, realizzò insieme al giornalista Riccardo Ferrante nel 1992 per l’editore Marietti di Genova.

”Fulvio Tomizza. Destino di frontiera” viene inaugurata domani, alle 18, nella sala Attilio Selva di Palazzo Gopcevich, che si affaccia sul canale di Ponterosso a Trieste. Allestita per i dieci anni della morte dello scrittore, resterà aperta fino al 15 settembre tutti i giorni dalle 9 alle 19. Il sabato alle 17, e la domenica alle 11, i curatori organizzeranno delle visite guidate. Alla mostra sarà affiancata una serie di incontri, conversazioni e proiezioni che prenderanno il via il primo settembre nella sala Bobi Bazlen, a cura della Cappella Underground.

«Non è un omaggio rapsodico», sostiene l’assessore alla Cultura del Comune di Trieste, Massimo Greco. E ricorda le mostre dedicate a Umberto Saba, al grande regista teatrale Giorgio Strehler, oltre all’intitolazione di una bella biblioteca a Stelio Mattioni «Il prossimo anno ricorderemo con iniziative importanti i novant’anni della nascita di Pier Antonio Quarantotti Gambini». Questa mostra, insomma, non è soltanto un omaggio allo scrittore, ma un lavoro di approfondimento della sua opera, della vita e del ruolo di spicco che Tomizza si è meritato all’interno della cultura europea.

Le foto, molte belle, spesso mai viste, uscite dall’archivio della famiglia Tomizza, sono quelle che raccontano lo scrittore con maggiore emozione. C’è Fulvio bambino, serio, impettito, circondato dai familiari. C’è il giovane aspirante regista, con quella faccia un po’ «da cinese» che lui stesso prendeva in giro. E poi c’è il giovane scrittore in compagnia del maestro Ghedini, che presentò il manoscritto di ”Materada” alla casa editrice Mondadori, e del suocero, il grande musicologo Vito Levi. C’è il narratore ormai affermato che riceve il Premio Strega dalle mani di autentiche leggende della letteratura italiana: Giorgio Caproni, Giuseppe Ungaretti, Natalino Sapegno, Leonida Repaci. C’è il vincitore del Premio di Stato austriaco per la letteratura europea, l’autore ”di frontiera” guardato con ammirazione da un giovane Peter Handke.

Ma quello che colpisce di più è il Tomizza privato. Che accarezza con gentilezza le spighe di grano seminate da lui stesso accanto alla sua casa in Istria. Che gioca a fare il cittadino imbranato che finisce per impantanarsi in mezzo metro di neve. Che medita davanti all’eterno foglio bianco nella stanza di via Giulia, dove allora abitava la sua fidanzata Laura. Non mancano il gatto Martino, protagonista di un racconto, lettere e recensioni dei principali critici italiani, documenti e manoscritti. E la dedica del grande Mario Rigoni Stern, che lo definì «uomo senza frontiere».

In mostra ritorna il sogno di Tomizza. La sua utopia: quella di un mondo senza steccati, senza divisioni ideologiche o religiose. Il desiderio di poter avere la propria identità, la propria dignità, ovunque nel mondo.

 

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