È risultato essere poco il tempo trascorso lunedì sera con i professori Mario Mikolić e William Klinger, autore quest’ultimo del volume “Il terrore del popolo: storia dell’Ozna, la polizia di Tito” (Italo Svevo Editore, Trieste 2012), presentato a docenti e studenti del Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi “Juraj Dobrila” di Pola. Due ore scolastiche, infatti, non sono bastate a dare spazio a un dibattito rimasto in embrione per cause di forza maggiore. Però sono servite a dire il bene di questa opera monografica dello storico fiumano, residente a Gorizia e ricercatore del Centro di Ricerche storiche di Rovigno.
Klinger si è impegnato nel modo che compete a chi fa ricerca – soprattutto sulla storia recente –, a espandere conoscenza, senza prendere la parte di alcuno, non propendendo per un’idea o un progetto politico preciso. E, non ultimo, non esprimendo giudizi o peggio, sentenziando condanne.
L’Ozna, come si è trovato a dire anche Mario Mikolić, ex diplomatico, docente, autore di saggi sulla nuova storia dell’Istria e grande intenditore di rapporti internazionali, venne fondata nel maggio 1944 e fu un apparato informativo e di sicurezza jugoslavo, caposaldo del sistema di potere di Tito. Il quale perseguì, attraverso questo organismo in ultima analisi repressivo, il suo progetto politico. Progetto nel quale il Maresciallo e Capo di Stato, la cui notorietà e il cui carisma varcarono tutti i confini del mondo, ci mise molto di suo, in capacità organizzativa e fiuto politico.
“Tito si è trovato sempre tra Scilla e Cariddi”: è in sintesi l’attacco dato da Mikolić al suo pacato, interessante intervento. Chiedendosi poco dopo chi egli fosse stato realmente, quali organizzazioni e movimenti egli avesse avuto dietro di sé, quanta veridicità ci fosse nella credenza dal sentore quasi popolare che Tito avrebbe rischiato anche lui la liquidazione. “Cari storici, c’è ancora tanta ricerca da fare”: un invito a proseguire sulla strada della verità, o comunque su quella della neutralità, del giusto approccio nel campo della ricerca storiografica.
Ardua in genere la rielaborazione scientifico-letteraria dei fatti, sopra ogni cosa di “quei fatti” (legati anche alla liquidazione di innocenti, nda), ha affermato Mikolić, che ha dato così la collocazione giusta all’opera di Klinger, con chiaro invito a leggerla.
“Il vero nodo del problema” è quanto aveva detto Klinger sulla strategia e tattica dello statista all’epoca dell’Ozna, in un’intervista rilasciata al nostro giornale: “Era l’opposizione di Tito nei confronti della tattica dei fronti popolari di Stalin. Dalla mia ricerca ho appurato che in effetti solo i comunisti sloveni vi si attennero, fondando un fronte popolare, l’Osvobodilna Fronta. Avendo un’organizzazione di fatto indipendente dal comando di Tito provvista anche di un apparato proprio di sicurezza e repressione (il Vos), Tito dovette faticare non poco per subordinare la dirigenza slovena al suo comando” (…)
“La situazione si risolse solo dopo che nel febbraio 1944 Stalin riconobbe la supremazia di Tito su tutto il teatro operativo jugoslavo” (il VOS venne assorbito dall’Ozna nel momento della sua fondazione). Alfine, c’è da dire che a Belgrado c’è il Fondo archivistico segretato, dal quale potrebbero scaturire altre informazioni, anche se “in realtà” aveva ancora dichiarato l’intervistato “moltissima documentazione di Tito e degli organi centrali del partito durante la guerra partigiana è stata già pubblicata”.
William Klinger, nel dopolezione, ci ha rilasciato una dichiarazione affermando di avere sempre evitato “l’eticizzazione del discorso, la moralizzazione in cui incappa ancora la Sinistra. Mi ha interessato fare una ricostruzione storica, fattuale, logica e ideologica dell’apparato di repressione partigiana, dal quale si è sviluppata poi l’OZNA”.
Rosanna Mandossi Benčić
“la Voce del Popolo” 29 maggio 2013