Tito contro la Resistenza italiana in Istria: una testimonianza

Relazione del partigiano italiano Grandi Nicolò di Rovigno d’Istria incorporato nella III Brigata 13° Divisione dell’Armata di Tito.

A metà del mese di marzo 1944 il presidio tedesco di Rovigno ha emanato un ordine di mobilitazione per le classi dal 1920 al 1923. Poiché le minacce dei suddetti tendevano a rappresaglia le famiglie, mi sono presentato assieme a 60 colleghi circa. Dopo 15 giorni di servizio assieme a 22 colleghi siamo fuggiti dalla caserma e passati nelle file dei partigiani italiani con l’unica idea di scacciare dall’Istria italiana il tedesco oppressore. Poiché, tra i partigiani istriani di lingua italiana, erano infiltrati certi emissari croati di Tito; io ed altri 6 colleghi siamo stati spediti in Croazia dopo due mesi di combattimenti in Istria. Nella terra Croata siamo stati aggregati alla III Brigata, circa 200 istriani su 400 uomini di forza. Dopo averci maltrattato, dandoci poco da mangiare, e spinti per primi al combattimento contro i tedeschi bene armati, abbiamo chiesto di passare con i garibaldini italiani, oppure nei partigiani italiani del Veneto. A queste domande siamo stati legati e trattati ancor peggio di prima nei confronti degli uomini croati della Brigata. Allora da questo momento, quando ci avviammo a lunghe marce di chilometri (circa 40, 50) senza mangiare e bere; quando uno di noi italiano cadeva a terra sfinito il cosi detto “fratello e compagno” ci aiutava con dei colpi di moschetto per la testa, sulla schiena e calci. Quando uno di noi italiani era ammalato e portava seco la febbre, non era considerato affatto e ci chiamavano “banditi-fascisti-sabotatori”. Tutti noi sentivamo l’amor patrio più forte ad ogni cattiva parola scagliata dai “fratelli croati”. Dopo 11 mesi di patimenti, noi istriani di circa 200 siamo rimasti in quattro. Tutti sono morti con la nostra idea e volontà. Quando c’erano da fare dei combattimenti eravamo spinti in avanti per primi e dietro a noi vi erano i croati che ci sbarravano le ritirate necessarie e obbligatorie di combattimento in modo così da perdere quasi ogni volta dai 5 a 30 morti italiani per ogni combattimento. Dalla Lica siamo marciati verso Ogulin e da Ogulin verso il confine di Fiume e l’Italia. Alla fine di aprile siamo giunti nei pressi di Gorizia chiedendo sempre di passare nelle file dei partigiani italiani del Veneto (poiché ogni nostra manovra contro i croati, era repressa con dei colpi di pistola sulla tempia). Quando il confine degli alleati era nei pressi di Gorizia, in 6 italiani, cioè 4 istriani e due meridionali, da Tolmino stanchi e stufi dei cattivi modi che i croati avevano con noi, siamo fuggiti dalle forze jugoslave passando a nuoto il fiume Isonzo. Siamo finalmente giunti stanchi, affamati, inzuppati negli accampamenti dei patrioti badogliani del Friuli che ci accompagnarono in una casa a mangiare, bere ed asciugarci. Poi ci siamo presentati ai Carabinieri di Cividale che ci assisterono e accompagnarono a Udine. A Udine il mio compagno di combattimento negli ultimi 4 mesi (N.d.r. è Granci o Grancich Giovanni che sottoscrive anche lui la relazione) che , facendo parte della mia brigata è stato interrogato da un sottufficiale inglese che ci ha chiesto precise informazioni politiche e militari. Poiché sapevamo la fine che ci aspettava, proseguendo per le nostre città natali, ci siamo inoltrati in Venezia in attesa che qualche commissione prenda in considerazione la nostra situazione poiché uno di noi partigiani italiani è considerato in Istria dai Comandi di Tito, traditore e reazionario armato.

Il partigiano italiano Grandi Nicolò
Venezia, 3 luglio 1945

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A cura di Flavio Asta, tratto dal bollettino “La Voce di Istria, Fiume e Dalmazia” del Comitato provinciale di Venezia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia

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