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La Commissione UE vede nero sul futuro dell’ex Jugoslavia (Il Piccolo 09nov12)

«Si naviga in acque agitate», avvisa la Commissione europea nel preambolo delle sue previsioni economiche autunnali, pubblicate mercoledì. Acque agitate per gran parte dei Paesi Ue. Paesi dove brillano alcune luci, come quelle dell’Austria, dove «si ritorna gradualmente alla normalità» e quelle della locomotiva tedesca, seppur in fase di rallentamento. E tante ombre, da quelle spagnole e greche, alle molte italiane. Ma se nei Paesi dell’Europa mediterranea non c’è ragione per guardare al futuro con fiducia, l’umore nella vicina Slovenia, nella prossima “ventottesima stella”, la Croazia, e nella “candidata” Serbia è altrettanto tetro.

 

Viaggiando da nord verso sud, la Commissione non può che evidenziare le grandi falle che si sono aperte nelle economie balcaniche. Falle ancora più ampie di quanto stimato nei rapporti precedenti. Prima tappa del viaggio, Lubiana, che «è precipitata di nuovo in recessione, con una forte crescita negativa a metà 2012», mette il dito nella piaga il rapporto di Bruxelles. E fosse solo il -2,3% di Pil di quest’anno a impensierire l’Ue. Neppure nel 2013, infatti, la Slovenia rivedrà un segno positivo nella casella del suo prodotto interno lordo, previsto dall’Ue a -1,6%. Dovrà anche sopportare «una significativa caduta dei consumi privati» e una disoccupazione in crescita. I senza lavoro, con relative tensioni sociali esacerbate dalle misure d’austerità, «aumenteranno di due punti», dall’8,4% del 2011, al 10,6% del 2012 fino all’11,5% del 2013. E si aggraverà anche il rapporto debito pubblico/Pil, malgrado i tagli decisi dal governo. Rapporto che passerà dal 54% di quest’anno al 59% dell’anno prossimo. Sarà al 62% nel 2014, mentre all’esordio della crisi era al 35%.

 

Ma potrebbe andare perfino peggio, se i conti pubblici dovessero risentire della «recente ricapitalizzazione delle banche e di un possibile sostegno aggiuntivo alle aziende a controllo statale». Qualche centinaio di chilometri verso sud e il panorama resta sconfortante. «Dopo una temporanea stabilizzazione nel 2011, la Croazia sperimenta al momento la seconda caduta nelle sue attività produttive dall’inizio della crisi nel 2008», avvisa la Commissione. Il prossimo membro Ue ha registrato una «contrazione del Pil reale dell’1,7% nella prima metà del 2012» e i dati su «produzione industriale, costruzioni e disoccupazione suggeriscono» che l’economia «sta stagnando». Cosa deve attendersi Zagabria? Un -1,9% di Pil fino a dicembre, poi crescita zero nel 2013 e una moderata ripresa (+1,4%) solo nel 2014.

 

Non tutti i mali croati sono endogeni, spiega poi Bruxelles, indicando nei «venti contrari ciclici e strutturali» le zavorre croate. Perché la Croazia soffre sì «della contrazione» delle economie dei suoi partner storici, ma la sua «competitività internazionale» ha dimostrato nondimeno di essere «inadeguata a scongiurare un declino delle esportazioni». Cosa porterà l’entrata nell’Ue nel 2013? «Maggiori investimenti», «una modesta accelerazione dell’export». E un po’ più di lavoro, con la disoccupazione che scenderà dal 14,2% al 13,9% nel 2013. Un calo minimo, di certo non sufficiente a riassorbire i 120mila che l’hanno perso dal 2008. E a frenare il nervosismo anti-tagli, soprattutto nel settore pubblico. E la Serbia? È «tornata in recessione», conferma l’Ue, con «la domanda interna e l’export» in calo. Un arretramento che quest’anno sarà del -1,6%, ma nel 2013 si tornerà in positivo, con il Pil a +1,5%. Sarà però una crescita anemica, a causa del perdurare della crisi dei consumi, dell’alta disoccupazione, stabile oltre il 26% e delle difficoltà collegate al «deprezzamento del dinaro», col rischio «acuto» di picchi d’inflazione, tagli e conti pubblici traballanti.

 

Che la situazione, non solo nei vicini Balcani ma in tutto l’Est, sia assai precaria, lo conferma una buona notizia. La Banca europea degli investimenti (Bei), quella per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) e la Banca mondiale hanno annunciato ieri il varo di una sorta di “mini-piano Marshall” per rilanciare le economie dell’Europa orientale. Trenta miliardi di euro, destinati a 17 Paesi tra cui quelli balcanici, Cechia e Slovacchia, Albania, Ungheria, che potranno contare fino al 2014 sui miliardi delle istituzioni internazionali come arma per contrastare «il continuo impatto dei problemi dell’Eurozona» sulle proprie economie nazionali.

 

Stefano Giantin

“Il Piccolo” 9 novembre 2012

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