di Stefano Lusa
In Slovenia il clima è quello di una vera e propria “guerra culturale”. Il concetto, usato già nell’Ottocento per parlare dello scontro tra clericali e liberali, oramai sembra di nuovo tornare in auge. Il conflitto tra destra e sinistra, infatti, continua senza esclusione di colpi. L’ultima polemica riguarda l’utilizzo degli archivi di stato.
La legislazione slovena in materia è alquanto permissiva. Non ci sono praticamente limitazioni alla consultazione dei documenti dell’ex partito comunista e delle altre organizzazione del regime. L’ordinamento, alquanto liberale, è stato ulteriormente ammorbidito nel 2006 dal governo centrodestra guidato da Janez Janša, dando libero accesso anche alle carte dei servizi segreti comunisti.
In pratica ricercatori, giornalisti ed anche privati cittadini avrebbero potuto mettere tranquillamente il naso tra i documenti degli agenti della famigerata "polizia politica". Ovviamente i servizi segreti jugoslavi e sloveni non si limitavano a controllare i fantomatici oppositori interni, ma come tutti i servizi segreti del mondo svolgevano operazioni di "intelligence" all'estero e si avvalevano della classica rete di informatori.
Queste ultime informazioni sono contenute in circa ottanta metri di faldoni. Da essi emergerebbero le operazioni compiute negli anni Settanta ed Ottanta e verrebbe anche resa nota la rete di collaboratori esistente: un'ottantina in Austria, un centinaio in Italia e cinque in Ungheria. Come tradizione, già nella Slovenia socialista il campo d'interesse primario della sua politica estera era rivolto allo "spazio culturale sloveno unitario", ovvero a quelle zone dove vivono le sue minoranze.
Secondo gli esperti questi documenti, se resi noti, rischierebbero di mettere in serio pericolo coloro che operarono e che potrebbero ancora operare a favore degli "interessi sloveni" e di compromettere la dignità e l'integrità di queste persone.
In ogni modo dall'approvazione della legge nulla era uscito. Persino il governo Janša aveva pensato bene di tutelare quei materiali con un'ordinanza. Il caso, però, è scoppiato qualche settimana fa quando un ricercatore ha chiesto di poter vedere quei materiali.
L'uomo non è uno qualunque. Si tratta infatti di Igor Omerza, uno che negli anni Ottanta prese parte ai movimenti alternativi e che, prima di dedicarsi agli affari, si dedicò alla politica nella Slovenia indipendente.
Proprio lui è stato uno dei fondatori, insieme all’ex premier Janša, dell’azienda d’informatica dove nella seconda metà degli anni ottanta fu rinvenuto un documento militare segreto che portò all’arresto ed alla successiva condanna di Janša da parte dell'esercito. Quell'arresto, il processo e la condanna diede origine in Slovenia ad un vero e proprio movimento d'opposizione al regime.
Attualmente Omerza starebbe preparando un libro sulla democratizzazione in Slovenia ed intendeva visionare quei documenti. Sia i responsabili dell'archivio, sia quelli dei servizi segreti non hanno però voluto daglieli, mentre il governo ha preparato e fatto approvare in fretta e furia una modifica alla legge del 2006 per poter chiudere nuovamente quella parte dell'archivio.
La cosa ha fatto trasalire Janša ed i suoi uomini, che hanno parlato di una vera e propria "decostruzione dello stato di diritto". A nulla sono valse le spiegazioni che arrivavano dai responsabili dei servizi e degli archivi sul danno che si sarebbe potuto arrecare al Paese con la libera consultazione di quei documenti. Ossessivamente l'opposizione ha continuato a chiedersi chi si stesse tentando di tutelare.
Subito sono partite le speculazioni che presto hanno coinvolto i più alti vertici dello stato. Il dito è stato puntato sul Presidente della Repubblica Danilo Türk. Dai documenti, si è detto, potrebbe emergere che l’attuale Presidente della Repubblica potesse essere stato a conoscenza di un maldestro attentato dinamitardo orchestrato nel 1979 dai servizi segreti jugoslavi in Carinzia. All’epoca il ventiseienne Türk si occupava delle minoranze slovene. L’accusa gli era stata lanciata già all’inizio dello scorso anno, quando aveva assegnato una contestata onorificenza a Tomaž Ertl, ultimo ministro degli Interni della Slovenia socialista. Lui ha sempre seccamente negato di averne saputo qualcosa.
Sta di fatto che il tentativo di intaccare la figura di Türk, l’unico politico sloveno che sa muoversi con destrezza sulla scena internazionale, risulta abbastanza evidente; mentre la completa apertura degli archivi rischierebbe di compromettere sia le relazioni internazionali di Lubiana sia la posizione delle minoranze slovene soprattutto in Austria ed Italia.
Intanto anche sul fronte storiografico infuria la polemica. Nell’occhio del ciclone una serie di integrazioni che il Centro studi per la riconciliazione nazionale ha fatto ad un documento sui totalitarismi voluto dalla Commissione europea. L’organismo, istituito negli ultimi mesi del governo Janša nel 2008 nell’ambito del ministero di Grazia e giustizia, ha continuato ad operare indisturbato anche dopo l’avvento del governo Pahor. L’istituzione adesso ha denunciato che nelle università slovene ci sono storici che erano stati nella commissione storica del Partito comunista o che insegnano una storia leggermente modificata rispetto a quella del precedente regime.
La cosa ha fatto trasalire una buona parte del mondo accademico sloveno che si è chiesto quali competenze abbia questo Centro per giudicare i professori universitari. C’è chi ha parlato senza mezzi termini di un tentativo di mettere in atto un’epurazione a vent’anni di distanza dalla caduta del regime. Al premier, Borut Pahor, è stato chiesto di prendere chiaramente posizione.
Il governo, d’altronde, sembra accettare di buon grado che la storia recente del Paese possa essere riscritta secondo le interpretazioni più care al centrodestra. Per celebrare il decimo anniversario dell’Ordinariato militare in Slovenia, il ministero della Difesa ha stampato un opuscolo in cui si parla dell’assistenza spirituale ai soldati sloveni nella storia. Nel capitolo che riguarda la Seconda guerra mondiale oltre al movimento partigiano tra le forze della resistenza vengono annoverati anche i movimenti collaborazionisti che secondo i redattori avrebbero avuto il “merito” di lottare contro il comunismo.