Si chiude con una mostra dedicata all’architetto fiumano Giuseppe Rubinich, che si inaugura stasera al Museo Civico del capoluogo quarnerino alle ore 19, la seconda edizione delle Giornate della Cultura e della Lingua italiana, promosse dal Consolato Generale a Fiume nell’ambito della Settimana della Lingua italiana nel mondo.
Se il nome di Giuseppe Rubinich non dice molto neanche ai più esperti, in città invece non mancano numerosi esempi della sua ricca attività di progettista. La rassegna, che si accompagna a una monografia – realizzata oltre che con il contributo del Museo Civico e della Città di Fiume, anche grazie al contributo dell’Unione Italiana, del Consolato Generale d’Italia e della Comunità degli Italiani – ha proprio l’obiettivo di rivalutare la sua opera di architetto e farla conoscere in città. Autrice del progetto è Deborah Pustišek, già nota al pubblico fiumano per essersi occupata di Emilio Ambrosini.
Chi era Giovanni Rubinich?
“Giovanni Rubinich nacque a Laurana nel 1876. Non conosciamo il suo percorso formativo precedente all’ingresso al Politecnico di Budapest, dove si laureò nel 1900, possiamo però supporre che nella scelta degli studi una certa influenza sia stata esercitata dal padre, Andrea Rubinich, un autodidatta nel campo dell’edilizia. Giovanni sposò Maria Celligoi, figlia dell’ingegnere Venceslao e sorella di Eugenio, entrambi architetti. Insieme ebbero una figlia, Paola, e un figlio, Giovanni Jr. Quest’ultimo, sostenuto l’esame di stato a Roma nel 1929, conseguì il titolo di dottore in Architettura e fu inizialmente assunto dalla società fiumana di costruzioni dell’architetto Edoardo Stipanovich, mentre nel 1930 passò a lavorare nello studio del padre.
In quegli anni i due realizzarono diversi progetti firmati insieme, ma molto probabilmente il figlio partecipò come assistente. Rubinich padre a quel tempo si occupava per lo più di politica e molto meno d’architettura. Ecco perché il suo opus architettonico, che ammonta a circa settanta progetti, fu in gran parte realizzato durante i primi quindici anni del Ventesimo secolo, ossia precedenti allo scoppio della Grande guerra. Costruiva case residenziali, edifici commerciali, ville, fabbricati industriali e unità edili a scopo comunale.
Iniziò la carriera nel 1902, con l’allargamento dell’ala orientale della scuola femminile in Dolac, nello stesso anno realizzò la Villa Wickenburg e la casa Schnorr, nel 1903 la casa Prodam, l’anno dopo le case Superina e Giordani in Belvedere e tante altre. La sua ditta era specializzata nelle costruzioni in cemento armato e Rubinich come imprenditore fu coinvolto, tra le altre cose, anche nell’edificazione del Macello comunale (1904, ndr) e nella costruzione della Scuola elementare maschile, oggi ‘Gelsi’, nei Giardini pubblici nel 1905”.
Quali fonti ha consultato?
“La principale fonte d’informazione sull’attività dell’architetto fiumano proviene dall’Archivio di Stato a Fiume, che conserva la documentazione originale delle sue costruzioni. Oltre ai riferimenti bibliografici più recenti sull’architettura a Fiume della seconda metà del XIX e del XX secolo, ho consultato storici dell’arte e altri esperti. Il figlio di Rubinich è morto giovane, mentre figlia e moglie, avendo optato per l’Italia, hanno lasciato la città come esuli. La proprietà Rubinich è stata confiscata dopo che lui era stato dichiarato, da postumo, nemico del popolo. Per questo non disponiamo dei suoi effetti personali. Abbiamo solo una foto, pubblicata da un quotidiano locale, e del collare che gli fu rimosso al momento del decesso”.
Le sue costruzioni più note?
“Non è facile elencarle tutte, soprattutto perché non si trovano lungo il Corso, non ci sono negozi o ristoranti noti ai più. Di Rubinich architetto si conosce l’edificio che ospita oggi la Casa della Gioventù in Belvedere, la Villa Steinacker, che fu progettata nel 1911 per Arturo Steinacker, direttore della fabbrica di cioccolato, impiegato di banca di credito e membro della Loggia massonica Sirius, che molto probabilmente la utilizzò come abitazione. Ma i suoi progetti più rappresentativi sono lo stabile Braun-Birò al numero 19 di via Verdi, la Casa Sirius in cui si trovava la sede della Loggia Massonica e la Villa Hauszner-Rosenthal (rispettivamente nelle odierne vie Dežmanova 3 e Laginja 13, ndr). Inoltre Rubinich è autore della progettazione urbana e architettonica dell’insediamento Centocelle a Scurigne. Tra gli stabili a scopo industriale, sappiamo che ampliò il complesso della Prima fabbrica di parquet, progettò l’Oleificio Hungaria, mentre con Arturo Hering sviluppò un progetto per l’estrazione della pietra dalla cava di Scurigne”.
Com’è concepita la mostra?
“Propone un percorso fatto di documenti originali, i progetti provenienti dall’Archivio di Stato. Il tutto è arricchito da immagini, testi e da strumenti di disegno dell’epoca. L’aspetto visuale della mostra è stato curato dalla pittrice accademica Mirna Kutleša. Ad accompagnare l’esposizione sarà anche una monografia bilingue croato-italiano ideata da Vesna Rožman”.
Rubinch è anche autore dello stabile Sirius, al numero 3 di via Dežman, sede dei massoni fiumani.
“Infatti. La sede si trovava in uno dei due piani interrati dell’edificio. Questo stabile venne commissionato nel 1991 dal Consorzio per la costruzione delle case, agenzia rappresentata dallo stesso Rubinich, anche lui massone appartenente alla loggia fiumana. Per questo motivo l’intera facciata è decorata con figure e motivi geometrici che appartengono al simbolismo massonico. Uno stile che la rende unica a Fiume”.
Perché Rubinich e non Rubini?
“A Fiume Giovanni Rubini è più ricordato come politico che architetto. Tuttavia, il punto centrale di questa mostra e della monografia verte esclusivamente attorno alla sua opera architettonica. Egli è stato attivamente impegnato nella vita politica della città, ed è per quasto motivo che tra il 1920 e il 1930 trascurò la carriera di architetto. Modificò il proprio cognome solamente nel 1931, da Rubinich a Rubini, e suo figlio fece lo stesso. Inoltre, tutti i progetti architettonici portano la firma di Rubinich. Ecco perché ho scelto questa variante del cognome per la mostra”.
(fonte “la Voce del Popolo” 24 ottobre 2013)