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Rivista Dossier – 290208 – Mai più vittime del silenzio

Renzo De’ Vidovich, giornalista e Presidente della Fondazione Rustia-Traine, ripercorre le vicissitudini degli esuli istriani e dalmati. Per troppo tempo dimenticate

 

di Andrea Pietrobelli 

 

MAI PIÙ VITTIME DEL SILENZIO

 

Il Giorno dei Ricordo

 

Il 10 febbraio è stato proclamato Giorno del Ricordo. Un’istituzione recente visto che solo con la Legge 92 del 30 marzo 2004, infatti, la Repubblica italiana ha sollevato il velo di silenzio che per anni era calato sui tragici eventi avvenuti negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra mondiale sul fronte orientale. Vicende tragiche che hanno coinvolto almeno 35Omila italiani, fuggiti dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia per scampare alla pulizia etnica delle milizie jugoslave, oltre a migliaia di innocenti che hanno trovato la morte nelle foibe carsiche. Proprio per non dimenticare, nel corso di questa giornata sono organizzate in tutta Italia iniziative sull’esodo istriano, fiumano e dalmata e sulle stragi, attraverso studi convegni, incontri e dibattiti indirizzati soprattutto ai giovani delle scuole che difficilmente arrivano a conoscere questa pagina di storia. Il 10febbraio è, quindi, diventato non solo un momento di riflessione su alcuni dei fatti più controversi e dolorosi della nostra storia contemporanea, ma anche un’ importante occasione per valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani di queste terre. Persone che, senza alcuna possibilità di scelta sono state costrette ad abbandonare casa e affetti. Per questo, il Giorno del Ricorso contribuisce a preservare le tradizioni delle comunita istriano-dalmate residenti non solo sul territorio nazionale, ma anche all’ estero

 

Trecentocinquantamila italiani di Istria e Dalmazia costretti lasciare case e affetti. Esistenze spezzate da un confine politico e ideologico in fuga dal nazionalismo jugoslavo di Tito. Ma anche migliaia di vite distrutte dalla ferocia di quelle stesse milizie. Distrutte due volte, verrebbe da dire. Fisicamente perché cadute in fondo a una foiba. Storicamente, perché troppo a lungo dimenticate. «Le foibe e l’esodo degli italiani dalla Jugoslavia rappresentano la strage e la diaspora più drammatiche che il nostro Paese abbia mai conosciuto».

 

Ricordando quegli anni, a cavallo tra la fine del Secondo conflitto mondiale e il Dopoguerra, Renzo De’ Vidovich non dosa certo le parole. Giornalista, ex politico e Presidente della fondazione Rustia-Traine, federazione degli esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, da sempre De’ Vidovich si batte per riportare alla luce i fatti che sconvolsero i confini tra l’Italia e l’allora nascente Jugoslavia di Tito. Ribellandosi a quel silenzio colpevole che per anni ha preferito un facile, forse politicamente funzionale, oblio a una verità scomoda.

 

«Sono tante le cause che hanno portato gli italiani a dimenticare la storia degli esuli—sottolinea il 74enne, esule di Zara dall’età di nove anni—. Nei primi anni di vita della democrazia italiana sicuramente ha giocato una grossa parte l’imposizione al silenzio dell’allora potentissimo Pci che vedeva nei profughi una pessima propaganda per la stessa ideologia comunista..

 

* In quel periodo la Jugoslavia veniva infatti definita il “paradiso socialista”.

 

«Proprio così. Ma l’esodo disattendeva completamente questa descrizione idilliaca. Nel giro di un anno, però, la situazione si capovolse. Nel 1948 Tito ruppe con Stalin e venne allontanato dal Cominform. Il leader jugoslavo fu quindi scaricato dal Pci, marcatamente filo-sovietico, trasformandosi in un mito per l’intero Occidente che lo presentava come il “socialista dal volto umano” antagonista dell’Urss. Un motivo in più per far calare il silenzio sugli esuli e sulle foibe».

 

*Ma come erano considerati gli esuli da parte dell’opinione pubblica italiana?

 

«Venivamo descritti come criminali fascisti scappati dalla giustizia popolare. Quindi, secondo questa tesi, noi esuli non eravamo fuggiti a causa di un regime comunista ostile, ma per via della reazione degli slavi alle nostre angherie precedenti. Una versione, questa, cavalcata dallo stesso Pci. Ma non fu solo la propaganda dei comunisti a nuocere alla verità storica. Anche la Democrazia Cristiana ebbe le sue grandi responsabilità. Nel 1947 De Gasperi firmò un trattato di pace durissimo e non cercò di eluderlo nemmeno quando Churchill dichiarò la nascita della Cortina di Ferro. In quel periodo la versione ufficiale era che il nostro Paese aveva vinto la guerra. Una tesi che cozzava con il fatto che l’Italia aveva di fatto perso dei territori nazionali. Ecco perché si preferiva negare il problema dell’Est».

 

*Un atteggiamento che ebbe conseguenze drastiche. 

 

« Basta ricordare la storia dei profughi arrivati a Bologna nel 1947. A questi non venne consentito di fermarsi e di essere soccorsi. i ferrovieri fecero uno sciopero e aggredirono le associazioni cattoliche che portavano il latte peri bambini. Solo lo scorso anno Bologna ha fatto finalmente ammenda e ha eretto una lapide in memoria degli esuli. Un altro episodio riguarda Venezia dove, il giorno dell’arrivo della salma di Nazario Sauro, i portuari veneti inscenarono una manifestazione contro gli esuli e contro il patriota italiano al grido di “Fascisti! Fascisti!”.

 

* Lei è sempre stato molto polemico anche con il silenzio stampa di quei tempi.

 

«Sì, perché non era né libera né indipendente e non si occupò mai del problema degli esuli. Ma i giornali non furono i soli a

macchiarsi di questa colpa. A tacere furono anche le università, le scuole, gli istituti culturali. Tutte queste Istituzioni “democratiche” non fecero mai cenno a questa tragedia. Si trattò di un evidente caso di censura».

 

*Oggi a suo parere si può ricominciare a parlare di verità storica condivisa?

 

«Si sono fatti parecchi passi avanti. Anche se c’è chi, in particolare in alcune frange della sinistra, continua a minimizzare la questione. Pur ammettendo le stragi, alcuni si ostinano ancora a giustificare la violenza contro gli italiani come una risposta alle precedenti vessazioni dei fascisti in Jugoslavia. Questa tesi addebita all’Italia stragi che in realtà sono state compiute dai tedeschi, dai croati alleati dell’Asse e dai serbi. Gli italiani però non c’entravano nulla con le carneficine avvenute in quelle terre. Anzi, spesso si interposero come mediatori tra queste genti. A questo proposito ho un ricordo personale Durante l’occupazione della Dalmazia (la parte del Regno d’Italia tra il 1941 e il l943,a Zara arrivò un gruppetto di 50-60 persone filoserbe e i nostri carabinieri dovettero fare un cordone per dividerle dalla popolazione croata e per evitare uno scontro. Era la dimostrazione di (un odio interetnico che in Jugoslavia è sempre esistito e che è poi esploso definitivamente con la guerra, durante gli anni Novanta».

 

*Quello del secondo Dopoguerra non è stato però l’unico esodo da parte delle popolazioni italiane dalle terre slave.

 

 «Noi dalmati abbiamo conosciuto altri due esodi. Il primo, prettamente politico, avvenne dopo il 1866, quando l’Impero Austro- Ungarico perseguitò gli italiani di Dalmazia che furono costretti a rifugiarsi aTrieste. Un secondo esodo, ancora politico, si verificò durante il regno di Jugoslavia, tra il 1920 e il 1940, quando migliaia di persone furono costrette ad andarsene a causa di una persecuzione strisciante, anche se non così violenta come quella di Tito. Questo dimostra che la volontà da parte degli yuoslavisti di attuare un’epurazione etnica nei confronti degli italiani  era latente anche prima del l945, disattendendo quello che sostengono i marxisti, cioè che le stragi delle foibe e l’esodo non sono altro che una semplice reazione popolare al fascismo.

 

*Oggi, con l’entrata ufficiale della Slovenia in Europa e la generale caduta dei confini ad Est, possiamo dire che la pacificazione sia un atto concreto?

 

«Sì e ne siamo contenti. Lo saremo ancora di più quando entreranno nella Unione Europea anche la Croazia e, soprattutto, il Montenegro, l’unico Paese spudoratamente filo-italiano dell’exJugos1avia. La simpatia dei montenegrini nei nostri confronti è palpabile, mentre in Slovenia sono da sempre un p0’ più freddi: esiste ancora qualche problema perché non abbiamo ancora una visione storica condivisa».

 

*Quando viaggia per le terre istriane e la Dalmazia, al di là delle comunità italiane, dove sente l’italianità?

 

-Io non conosco la lingua croata, eppure giro perla Dalmazia e ovunque parlo italiano,o meglio, dialetto veneto. E non ho mai avuto nessun problema pur dichiarandomi sempre orgogliosamente italiano. Nessuno mi ha mai dimostrato ostilità. Evidentemente l’opinione pubblica dalmata si rende conto che l’Italia è un Paese con cui bisogna dialogare e che la Croazia di oggi ha tratto grandi benefici dalla nostra cultura. Se ne sentono un po’ figli, una cosa che ai tempi di Tito era impensabile. Del resto tra i dalmati c’è sempre stata grande solidarietà e questo mi fa guardare al futuro con maggiore ottimismo. Credo veramente che questi territori potranno costituire il ponte futuro tra I Est e i Europa».

 

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