«Oggi 3 novembre, giorno di San Giusto e anniversario della redenzione di Trieste, una voce libera parla finalmente agli italiani della Venezia Giulia». Con queste parole il 3 novembre 1945, sulla frequenza di 1.380 Khz, irradiate di nascosto da un appartamento di palazzo Tiepolo Passi, a Venezia, iniziava le sue trasmissioni Radio Venezia Giulia. Nasceva così, su proposta del Cln giuliano e per iniziativa del Ministero degli Esteri, l’ emittente clandestina – ma non segreta – italiana del dopoguerra, la cui missione era garantire l’informazione e il sostegno psicologico alla popolazione italiana della regione Venezia Giulia e in particolare a quella residente in Istria sotto il controllo jugoslavo.
Il compito di aprire la radio era stato affidato al conte Justo Giusti del Giardino, diplomatico veneziano di nobili origini che dovette affrontare la non facile incombenza di monitorare quanto stava accadendo nelle terre occupate dagli jugoslavi e dalle truppe angloamericane. In quel quadro l’attività di Radio Venezia Giulia, non autorizzata dalla Commissione alleata di controllo e non sottoposta allo Psychological Warfare Branch, assunse presto funzioni di strumento per la raccolta di informazioni, per mezzo di propri agenti, nei territori occupati dagli jugoslavi, contrastando così i diversi tentativi di infiltrazione dello spionaggio titoista e di propaganda anti-italiana, in uno scenario che anticipava il clima da “guerra fredda” che si sarebbe presto addensato anche lungo le coste nord adriatiche.
La radio operò a Venezia, sotto la direzione dello scrittore Pier Antonio Quarantotti Gambini, dal novembre 1945 al settembre 1949 e dopo un breve periodo di interruzione riprese i programmi grazie ad un accordo tra il governo italiano e la Rai, che la ribattezzò Radio Venezia III inserendo nella programmazione la rubrica quotidiana “Ai fratelli giuliani” poi diventata “L’ora della Venezia Giulia”. In quei quattro anni di programmazione clandestina – ma tutelata e sostenuta dal governo italiano – si concentra la storia poco nota – e anzi per certi versi ancora oscura – di come venne condotta una forte campagna mediatica per sostenere e orientare politicamente in particolare gli italiani della Zona B, e di come questa campagna si inserì nella più lunga e complessa “guerra delle antenne” negli anni del dopoguerra.
Cosa accadde, come funzionava ed era organizzata l’emittente clandestina lo racconta ora lo storico Roberto Spazzali nel libro Radio Venezia Giulia. Informazione, propaganda e intelligence nella ‘guerra fredda adriatica’ (1945-1954), pubblicato dalla Libreria Editrice Goriziana con l’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano dalmata (IRCI) (pagg. 234, euro 24,00), da oggi nelle librerie. Proprio lavorando al riordino alla carte private della corrispondenza di Pier Antonio Quarantotti Gambini conservate all’IRCI, Spazzali si è imbattuto nelle tracce lasciate dal lavoro della radio, preziosissimi testi delle trasmissioni radiofoniche già usati per la tesi di laurea di Roberta Strazzaboschi Propaganda e informazione radiofonica al confine orientale. Il caso di Radio Venezia Giulia 1945-1949.
A partire da lì Spazzali ha setacciato altri archivi, da quelli formidabili dell’Ufficio Zone di confine della Presidenza del Consiglio dei ministri, al fondo dello stesso Justo Giusti del Giardino conservato al Museo di guerra per la pace Diego de Henriquez, fino all’Archivio di Stato di Trieste e ai fondi dell’Istituto regionale per la Storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia. Carta dopo carta il quadro è stato ricostruito, consentendo all’autore non solo di ripercorrere le tappe dell’avventura di Radio Venezia Giulia, ma di inserire questa esperienza nel più ampio orizzonte della storia letta attraverso i microfoni delle emittenti che si fronteggiarono fino alla fine degli anni Cinquanta al di qua e al di là del confine mobile.
La radio, la cui sede per interessamento di Andreotti fu poi trasferita da palazzo Tiepolo in un edificio protetto della Marina militare, arruolò per i suoi microfoni oltre cento collaboratori «con specifici ruoli e funzioni particolari». Dalle liste spuntano nomi di giornalisti che avrebbero avuto in seguito un nome al livello nazionale e locale, da Vittorio Orefice ad Antonio Spinosa, dal futuro piduista Franco Di Bella allo scrittore Vladimiro Lisiani. Ma dietro Radio Venezia Giulia e la sua agenzia di riferimento, l’Astra, ai vertici, fanno capolino molti altri nomi della Trieste in quegli anni in corsa per l’Italia, da Marcello Spaccini a Gianni Bartoli, in pratica i quadri dirigenti della Democrazia cristiana cui l’emittente clandestina fece da megafono.
Tuttavia Spazzali mette in luce altre funzioni più o meno svolte nell’ombra dalla radio, e cioè il lavoro di intelligence e controinformazione nei periodi più caldi di quell’immediato dopoguerra, attività «guardate con sospetto dagli anglo-americani e con piena ostilità dagli jugoslavi». Tra veline e testi radiofonici Spazzali ha rintracciato messaggi cifrati e crittografati, notizie captate con apparecchi Morse: «Se la redazione fosse stata scoperta con quel materiale così compromettente – nota Spazzali – il ministero degli esteri sarebbe rimasto coinvolto da uno scandalo di vistose proporzioni».
Tra il 1945 e il 1949 Radio Venezia Giulia mise in onda 3.800 trasmissioni (2600 in onde medie e 1200 in onde corte) tra rubriche quotidiane e programmi speciali: c’era la settimana diplomatica, la tribuna dei partiti, la parola all’economista, il giovedì delle lettere e delle arti, varietà, vita sindacale e vita politica, Istria nobilissima. «Si può immaginare – scrive Spazzali – che i primi tempi di Radio Venezia Giulia siano stati appassionati e “folli”, quando tutto doveva essere creato affidandosi piuttosto ai modelli radiofonici più noti che all’esperienza in quel settore dell’informazione; la realizzazione dei notiziari era anch’essa un’impresa, a iniziare dalla raccolta delle notizie». In definitiva la linea di condotta di Radio Venezia Giulia, conclude Spazzali, fu quella «di rompere (…) il settarismo, di avviare il dopoguerra nel segno della conciliazione nazionale, di ricostruire l’unità della nazione nella consapevolezza del prezzi della sconfitta».
Pietro Spirito
“Il Piccolo” 2 febbraio 2013