Per Udine, quello dei profughi è un tema scottante. Nell’arco di diversi mesi, in città sono arrivate centinaia di persone in fuga dal proprio Paese per scappare dagli orrori della guerra o dalle persecuzioni. Si tratta di adulti e di ragazzi, anche minorenni, che le autorità, a partire da Comune e Prefettura, devono assistere dando loro, almeno per il tempo necessario al riconoscimento del loro status di rifugiati, un tetto e il pane quotidiano. Il loro numero è indubbiamente alto e il pubblico trova non poche difficoltà, logistiche ed economiche, nel garantire a tutti quanti una sistemazione almeno temporanea. Ma quella di questi giorni non è la prima emergenza del genere che il capoluogo friulano ha dovuto affrontare. In un passato non molto lontano, Udine è stata per anni luogo di transito – e per alcuni luogo di arrivo – di migliaia di persone. Stiamo parlando degli esuli istriani e dalmati, italiani che, dal 1947 al 1960, trovarono nella città un ‘porto sicuro’ dopo che furono costretti ad abbandonare le terre e le case appartenute alle loro famiglie anche per centinaia di anni. “Udine – racconta il professor Elio Varutti – diede ospitalità fino a 4-5mila persone alla volta. Per il capoluogo passarono complessivamente circa 100mila esuli: il 90 per cento era istriano, il 5 per cento dalmata e il restante 5 per cento era composto da friulani di seconda generazione di ritorno dalla Romania, da serbi, croati e bosniaci”.
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