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Quando lo spirito di Garibaldi univa italiani e slavi (Il Piccolo 29 set)

di MARINA ROSSI

Le tempeste rivoluzionarie del 1848, se non realizzarono le speranze suscitate nelle ancora esigue avanguardie democratiche, non passarono invano nel Litorale asburigco ma innescarono una serie di reazioni a catena, destinate a sfociare in movimenti ideali e forze politiche nuove dagli esiti imprevedibili. Spiriti risorgimentali si erano manifestati, prima e dopo il ‘48 oltre che nella penisola italiana e in Ungheria, tra gli sloveni, i croati, i serbi, i bulgari. Il più vivace, tra essi, era stato forse, in Croazia, il movimento “illirista” di Ljudevit Gaj. Ma ferveva un po’ ovunque l’idea di una lotta comune, di emancipazione dall’Austria, dalla Russia e dalla Turchia dei popoli ad esse soggette: con Mazzini, Garibaldi, l’ungherese Kossuth, in Polonia, con Kosciusko, in funzione antirussa, in Serbia con Vladimir Jovanovic, in funzione antiturca. Fautore della fratellanza italo-slava era stato il dalmata Nicolò Tommaseo. Negli anni ’60 e ’70 tra le popolazioni di lingua italiana della futura Venezia Giulia il giovane irredentismo fu spesso vicino alla corrente popolare repubblicana del Regno d’Italia, di opposizione al governo e con questa connotazione mantenne viva l’idea della libertà di tutti i popoli.

Nello stesso decennio si sviluppano a Trieste le prime associazioni operaie di mutuo soccorso, nucleo dei futuri sindacati ed i primi scioperi contro pesantissime condizioni di lavoro. Coscienza sociale e coscienza nazionale sono ancora patrimonio comune dei pionieri del movimento.

Le prime persecuzioni poliziesche colpiscono del pari gli assertori dell’ideale patria e dell’ideale sociale: un centro di arruolamento per Garibaldi, è scoperto nel 1860, a Trieste, nel rione popolare di San Giacomo; i promotori sono arrestati, la polizia si scaglia sia contro gli scioperi che le prime manifestazioni d’italianità. Ma è un’italianità che ancora non ha in odio gli slavi ed una socialità in cui permane lo spirito cosmopolita al punto che lo scrittore e patriota Giuseppe Caprin non esitò ad affermare che «l’operaio non è né tedesco, né italiano, né slavo, né francese; egli è bensì il lavoratore del tempio della pace, le cui basi furono gettate dagli schiavi, le cui pareti furono elevate dai servi e il cui tetto deve essere ultimato dall’attività e dal genio dei liberi».

Del resto, anche nel Regno d’Italia l’irredentismo nato garibaldino, radicale, d’opposizione, conta tra i suoi animatori l’Avezzana, ministro della Repubblica romana nel ’49, Matteo Renato Imbriani, Benedetto Cairoli, il Saffi e gli altri che agitano l’idea irredentista proprio quando l’Italia ufficiale, concluso il travaglio dell’unificazione, sta badando alla ripresa economica e a procacciarsi, per aver pace, solide alleanze internazionali. È entrata nella Triplice e il governo non vuole avere incidenti con l’Austria, invita alla “virtù del silenzio”; lo stesso Sonnino afferma che «rivendicare Trieste come un diritto sarebbe un’esagerazione del principio di nazionalità». Le agitazioni per l’impiccagione di Oberdan saranno severamente represse.

Quando l’Austria aggredisce la Bosnia-Erzegovina (1878), Garibaldi ed Avezzana indirizzano alla gioventù di queste terre un nobile e chiaro appello alla guerra partigiana al fianco dei bosniaci: «Ai monti! Ai monti! Trentini, triestini, istriani, goriziani! Ai monti! E non vi lasciate condurre contro gli eroici nostri fratelli dell’Erzegovina, che liberarono l’Europa da un Impero orribile! Ai monti! Vi si sta tanto bene di questa stagione. Ad opprimere schiavi vadano i magiari – oggi seduti alla mensa del dominatore – ove si sono adagiati, aiutando a conculcare gli oppressi e dimenticando i loro migliori cittadini appiccati dall’Austria. Anzi, prendete esempio dai superbi figli delle montagne – ed imparate da loro come si debellano i soldati dei tiranni. La gioventù italiana non vi lascerà soli sui monti a combattere austriaci. Noi vecchi andrem numerando le vostre imprese al mondo e ne acquistremo le simpatie come merita la causa vostra, che è causa di libertà e giustizia!».

Nel 1876 l’insurrezione della Bosnia ebbe una vasta eco a Trieste, il capo della rivolta Miho Ljubibratic, trasportatovi in stato d’arresto dagli austriaci, ricevette calorose accoglienze e saluti in italiano e croato. Eugenio Popovich organizzò le partenze dei volontari dalla nostra città, dove venne arrestato e da cui fu espulso l’anarchico Enrico Malatesta.

La lotta comune di italiani e slavi contro l’aggressore tedesco si sarebbe rinsaldata negli anni della Resistenza contro il fascismo, non a caso definita anche secondo Risorgimento.

In quella lotta profuse il suo impegno lo scrittore triestino Giani Stuparich, cui si devono i capoversi introduttivi di due volantini del partito d’Azione, nell’anniversario della morte di Garibaldi (avvenuta il 2 giugno 1882): «Mai forse come oggi, nella più spaventosa crisi che la storia italiana ricordi, lo spirito di Garibaldi ritorna vigile ed ammonitore tra il suo popolo… Dopo un ventennio di bassezze ammantate di falsa gloria, di menzogne sostenute da violenze e da ricatti, in cui l’anima del popolo italiano fu avvelenata, incatenata, avvilita, oggi nella riscossa ideale, nella lotta impari per la riconquista della propria libertà, il popolo italiano ritrova in Garibaldi la sua guida… Un popolo… che non può far causa comune con i prepotenti e i sopraffattori… Garibaldi sta a dimostrare contro tutti i falsi condottieri che ”la salvezza del popolo italiano è nella tradizione di libertà, lontana da ogni egoismo nazionalista, da ogni isterismo imperialistico…”. Non sulle baionette rivolte di fuori e di dentro, non sui soprusi polizieschi può basarsi un popolo che ha espresso dal suo seno un Garibaldi… ed uno in occasione della distruzione da parte dei nazisti del monumento a Sauro a Capodistria. Questa nostra terra la vogliono loro. Vogliono seppellire per sempre un secolo di lotta contro il predominio teutonico in queste terre. Vogliono che l’Austria ritorni, ma un’Austria con la svastica, prussianizzata, nazista, impiccatrice… Si tratta di un affronto grave, coordinato, meditato. Eppure il fascismo istriano, che falsamente si gloria depositario del patriottismo integrale, visi è supinamente adagiato… Ma il fascismo perpetratore in Istria di una politica intollerante e soverchiatrice, non è la Patria…».

Giani Stuparich fu anche arrestato dalle SS, trattenuto per qualche giorno, e poi rimesso in libertà di fronte all’emozione e alle proteste che quell’arresto aveva sollevato nel mondo intellettuale italiano.

 

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