10.06.2025 – Nascere in un Centro Raccolta Profughi nelle Marche in una famiglia di esuli fiumani, crescere nel Villaggio Giuliano-dalmata alla periferia di Roma, intraprendere la carriera giornalistica ma scoprire solamente dopo tanti anni le verità delle foibe. Il percorso umano, professionale e di crescita culturale del giornalista e scrittore Diego Zandel rivive nelle pagine di Autodafé di un esule. Nel ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata (Rubbettino, Soveria Mannelli 2025) che è stato presentato alla Casa del Ricordo di Roma in un’iniziativa promossa dalla Società di Studi Fiumani con la collaborazione del Comitato provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.
Introducendo l’incontro, Marino Micich (direttore dell’Archivio Museo Storico di Fiume) ha ricordato gli esordi sulla carta stampata di Zandel sulle colonne di “Difesa Adriatica”, testata dell’ANVGD, prima di approdare a testate dal carattere fortemente libertario, coerentemente con lo sviluppo del suo percorso politico e culturale. Zandel è stato molto emozionato quando Micich gli ha fatto dono di un libretto di sue poesie giovanili che aveva regalato con dedica a Bepi Nider, esule rovignese, insegnante, poeta e figura carismatica per i giovani cresciuti al Villaggio Giuliano-dalmata, la cui biblioteca era stata donata all’Archivio fiumano.
Il professor Giovanni Stelli ha molto apprezzato l’analisi e l’autoanalisi critica che Zandel ha compiuto scrivendo questo “Autodafè”: «Negli anni Sessanta e Settanta la sinistra extraparlamentare destava un grande fascino, corroborato dai quotidiani, libri e riviste che vi afferivano e diffondevano una visione palingenetica che sembrava quasi in grado di sostituirsi alla religione – ha spiegato il Presidente della Società di Studi Fiumani – Questa ricerca dell’assoluto nelle ideologie ha infatuato anche tanti esuli, come la polesana Rossana Rossanda militante nel gruppo del Manifesto, ma Zandel è uno dei pochi ad aver fatto autocritica tornando su posizioni meno radicali»
Ancora Micich ha quindi evidenziato che nelle pagine di Zandel, scritte con uno stile chiaro e che agevola la lettura, emergono tanti ricordi intimistici, legati alla nonna contadina o alla vita quotidiana in quello che si avviava a diventare il Quartiere Giuliano-dalmata di Roma, ma c’è anche la scoperta delle proprie origini sull’altra sponda dell’Adriatico con una frequentazione iniziata fin da bambino durante l’estate presso i parenti “rimasti”.
E dello spaccato sociale fiumano che emerge da questi ricordi giovanili ha parlato pure Donatella Schürzel, Presidente dell’ANVGD Roma, la quale ha ricordato la forte impronta socialista, mazziniana e repubblicana che aveva permeato sin da fine Ottocento il sostrato sociale, politico e culturale di città come Fiume, Pola e Rovigno. «In nome di tali valori il padre di Diego aderì alla Resistenza in Istria, rendendosi però ben presto conto del carattere nazionalista e liberticida che animava la lotta dei partigiani comunisti jugoslavi – ha spiegato la professoressa Schürzel – Suo padre aprì gli occhi e si allontanò da quel progetto così violento nei confronti della popolazione italiana autoctona dell’Adriatico orientale, così anche Diego ha compiuto un percorso di maturazione che lo ha poi portato a ribadire la sua identità di esule ancora mentre era impegnato professionalmente, a differenza di altri che si sono scoperti tali una volta andati in pensione o quando hanno visto l’interesse che aveva suscitato l’istituzione del Giorno del Ricordo»
C’è stata, infine, tanta nostalgia della vita comunitaria trascorsa al Villaggio Giuliano-dalmata nelle parole con cui Zandel ha concluso la presentazione del suo libro, che è stato ispirato da un collega che negli anni Novanta gli chiese un’opinione su quanto stava emergendo nel processo sulle foibe che vedeva come imputato Oskar Piškulić, il referente a Fiume dell’OZNA, la polizia segreta di Tito. In quel momento Zandel si era reso conto di quanto a lungo quella storia fosse stata insabbiata, al punto che lui nemmeno era a conoscenza di tale processo: la destra aveva strumentalizzato le foibe in un’ottica anticomunista, la sinistra le aveva dimenticate riconducendo tutto alla vendetta per quanto subito da sloveni e croati durante il fascismo. Da qui la presa di coscienza che era necessario fare “autodafè” del proprio percorso politico-culturale, che si è finalmente concretizzato in questo libro, e la consapevolezza che era necessario far sentire la propria voce di testimone dell’esodo e di italiano ancora profondamente radicato a Fiume ed in Istria.
Lorenzo Salimbeni