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Pietro Bembo e l’«invenzione» dell’arte italiana (Voce del Popolo 28nov12)

Cardinale, scrittore, grammatico e umanista, figura saliente del periodo rinascimentale, Pietro Bembo (Venezia, 20 maggio 1470 – Roma, 18 gennaio 1547) è uno dei più autorevoli personaggi della cultura italiana. Pose infatti le basi del petrarchismo – e lo fece conoscere a livello internazionale – e diede un contributo decisivo alla codificazione della lingua letteraria italiana, promuovendo il toscano al di fuori della Toscana stessa, dando un contributo significativo al processo di formazione e consolidamento dell’identità italiana. Che arriva pure all’Istria, da lui raccontata nella sua “Historia veneta”, scritta dal 1487 al 1513, pubblicata nel 1551, poi tradotta dallo stesso in italiano (“Istoria Viniziana”), senza dimenticare che le ramificazioni della “nobilissima famiglia Bemba” arrivano a Valle, dov’erano presenti suoi appartenenti, in qualità di rettori, fin dal XVII secolo, in modo “fisso” dal 1750.

 

L’antico casato veneziano, a seguito di vincoli matrimoniali, si era unito a quello dei Soardo – illustri bergamaschi (o longobardi?), giunti nella località istriana nel secolo XV – e con altri signori del territorio (e non), capodistriani, piranesi… Tornando a Pietro Bembo, egli fu molte cose insieme e tutte al massimo grado: personalità poliedrica dell’Italia del Rinascimento, veneziano di nascita, padovano di elezione, di casa nella Roma dei Papi; fu poeta, storiografo e bibliotecario della Repubblica Veneta, il letterato che influenzò in modo determinante la letteratura rinascimentale. Con Aldo Manuzio rivoluzionò il concetto di libro, curando volumi di classici di piccolo formato privi di commento, che potessero essere letti al di fuori delle aule universitarie.

 

Amò donne bellissime come Lucrezia Borgia, e cantò l’amore, non solo platonico, negli “Asolani” e nei “Motti”. A sessantanove anni fu nominato cardinale da Papa Paolo III, e pose le basi per la leggendaria Biblioteca Vaticana. Oltre che di Raffaello e Michelangelo fu amico, guida e protettore di artisti come Giovanni Bellini, Sansovino, Sebastiano Dal Piombo, Tiziano, Benvenuto Cellini, Valerio Belli, di cui collezionò e spesso ispirò le opere. Per una breve stagione, proprio grazie all’influenza di Bembo e al suo gusto collezionistico, Padova divenne baricentro e crocevia della cultura artistica internazionale, perché in città prendeva vita qualcosa di inedito che avrà enormi ripercussioni nei secoli a venire, la nascita di una nuova tipologia di raccogliere e presentare non solo l’arte, ma la conoscenza stessa: il Museo, termine che da allora diviene universale.

 

Dopo la morte di Bembo i capolavori vennero venduti dal figlio Torquato e si dispersero nel mondo e oggi sono conservati nei grandi musei internazionali, che li concederanno eccezionalmente in prestito in occasione di una straordinaria mostra che riporterà a Padova, dopo cinque secoli, i capolavori della collezione che l’intellettuale veneto, poi divenuto cardinale, aveva riunito nella propria casa, ancora esistente nell’attuale via Altinate. A Casa Bembo, oggi sede del Museo della Terza Armata, a partire dai primissimi anni Trenta del Cinquecento erano concentrati dipinti di grandi maestri come Mantegna e Raffaello, sculture antiche di prima grandezza, gemme, bronzetti, manoscritti miniati, monete rare e medaglie. La ricchezza e varietà degli oggetti d’arte, raccolti per gusto estetico, ma anche come preziose testimonianze per lo studio del passato, rese agli occhi dell’Europa del tempo la casa di Bembo come “la casa delle Muse” o “Musaeum”, precursore di quello che sarà il moderno museo.

 

Ed è su questo aspetto della sua attività che, dal 2 febbraio al 19 maggio 2013, a Palazzo del Monte, nella città patavina, si accederanno i riflettori. Grazie alla mostra “Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento. Capolavori da Bellini a Tiziano da Mantegna a Raffaello”, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, insieme al Centro Internazionale Andrea Palladio e con il patrocinio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Il titolo dell’esposizione riporta all’Italia sul finire del Quattrocento, quando la penisola è frantumata in piccole corti e centri di potere. A un Paese in piena crisi politica e militare, Bembo offre una identità comune in cui riconoscersi. Egli è infatti fautore di un’idea di unificazione dell’Italia a partire dalla creazione di una lingua nazionale: nelle “Prose della volgar lingua”, pubblicato nel 1525, Bembo codifica le regole dell’italiano, fondandolo sugli scritti di Petrarca e Boccaccio.

Sul versante dell’arte, Bembo indica Michelangelo e Raffaello come campioni di un nuovo, rivoluzionario fare artistico, che egli vede simmetrico a quanto accade nel campo della letteratura. Coglie infatti nel loro procedere creativo una nuova “lingua dell’arte” basata sulla grandezza dell’arte romana antica, e che ricerca una perfezione senza tempo e senza connotazioni regionali: un linguaggio universale che sarà riconosciuto nei secoli a venire come quello del Rinascimento italiano.

 

Grazie a Bembo, Michelangelo e Raffaello, un’Italia suddita delle grandi potenze sul piano militare trionfa in Europa conquistando il primato con le armi dell’arte e della cultura. A quattrocento anni dalla sua dispersione, sarà per la prima volta possibile, grazie alle capillari e pazienti ricerche condotte in occasione di questa mostra, ricostruire concretamente la famosa collezione d’arte che il più grande letterato del Cinquecento aveva raccolto nella sua casa di Padova.

 

(fonte “La Voce del Popolo” 28 novembre 2012)

 

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