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Pedalando da Trieste a Cattaro (Il Piccolo 30 mar)

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Negli anni Ottanta, a bordo di una Vespa, si era spinto fino al Montenegro. Lasciandosi guidare dalla sua voglia d’avventura. Ma anche per riscoprire quelle terre ”altre”. L’Istria, la Dalmazia da cui arrivava la sua famiglia, che erano irrimediabilmente rimaste al di là del confine. In un mondo così vicino, eppure così lontano. Adesso, per Emilio Rigatti rifare quel percorso a distanza di tanto tempo, spingendo sui pedali di una bicicletta, ha assunto il sapore della sfida.

E quella sfida, portata avanti da un’inestinguibile voglia di avventura ma anche da una grande nostalgia, si è trasformata in una storia. Anzi, in un formicaio di storie. Che Emilio Rigatti, di professione professore, ma che dentro di sé cova un amore sconfinato per la bicicletta, ha chiuso dentro il suo nuovo libro ”Dalmazia Dalmazia” (pagg. 203, euro 16) pubblicato dalla vulcanica Ediciclo di Portogruaro.

Anche per uno che ha sostituito la macchina con la bici, e che se proprio deve scendere di sella va a piedi, pensare di pedalare da Trieste fino alle Bocche di Cattaro è pur sempre un’indigestione di chilometri che ti mette la tremarella addosso. Ma lui, Emilio Rigatti, non fa parte di quella razza di ciclisti che deve aumentare la velocità a ogni giro di pedali. «Non si va mai abbastanza piano», scrive nel suo libro. E, in realtà, ogni metro del suo viaggio, ogni volto di persona che incrocia, ogni scorcio di paesaggio, riacquista un significato profondo. Lo porta a correre sull’onda dei ricordi, a fare confronti con il presente, a riannodare vecchie storie di famiglia al tragico destino che ha insanguinato l’ex Jugoslavia negli anni Novanta.

Rigatti parte dalla storia della sua famiglia. Dal ricordo di Zara, dalla fuga in Italia, dalle riunioni natalizie vissute nella nostalgia di quella terra ormai perduta. E da lì comincia il suo viaggio verso le Bocche di Cattaro. Un percorso solitario, eppure affollato di voci, di suoni, di colori, di sapori, di suggestioni. Verso le isole di Pago, di Arbe, giù giù fino a Zara, Sebenico, Spalato, e poi Lesina.

Il ricordo di quel vecchio viaggio in Vespa, di tanto in tanto, si rifà vivo. Anche perchè, in cuor suo, Rigatti non può dimenticare la famiglia che negli anni Ottanta lo aiutò a rimettere in sesto la sua moto ormai spacciata. E che lo ospitò, lo rifocillò, lo riempì di attenzioni e di premure. Forse, il suo viaggio attraverso i Balcani è dettato dal desiderio di rivedere proprio i loro volti. Di Tomo, il mago delle riparazioni meccaniche, di suo fratello Gido e della sorella Boba. Di papà Petar, il vecchio partigiano che beveva la sua rakia sotto il ritratto del maresciallo Tito. E che ha fatto in tempo a vedere il dissolversi di quel sogno socialista.

È bello seguire Rigatti lungo le strade, immaginarlo pedalare ingobbito sotto le raffiche di bora, spingere in salita con l’immenso blu del mare all’orizzonte. Il suo non è soltanto un libro di viaggio. Diventa, sotto gli occhi del lettore, un invito a mollare gli ormeggi. Un momento per ritornare a pensare. Per ritrovare la gioia del racconto, dell’incontro. Della solitudine e della lentezza.

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