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Partigiani comunisti al rogo? (Il Piccolo 28 ago)

LETTERE

Fino alla fine degli anni ’80 nessuno, nemmeno gli avversari più irriducibili, avrebbe mai negato il ruolo determinante dei comunisti nella Resistenza antifascista. Ma dal 1989 le cose sono cambiate. Con il crollo del muro di Berlino sembrava che nel mondo si dovesse respirare un’aria nuova e, invece, è sempre la stessa aria che circola, ma ancora più pestilenziale di prima. Non so. Allora, siccome da molti anni l’Unione Sovietica non esiste più e l’ex Jugoslavia si è dissolta in una tremenda guerra civile, i partigiani comunisti che sessant’anni fa si battevano per gli ideali rappresentati dall’Unione Sovietica e dalla Jugoslavia di Tito erano solo dei banditi assetati di sangue al soldo del nazionalismo slavo-titoista che volevano portare via all’Italia Trieste e tutte le province orientali. Ma questo è quello che hanno sempre detto i fascisti e i nazisti fin dai tempi della Repubblica di Salò! Applicando codesto ragionamento al resto d’Italia, allora attualmente solo la componente cattolica del Cln avrebbe diritto di richiamarsi alla resistenza antifascista. A tutti gli altri dovrebbe essere revocata la qualifica di partigiani, tolte tutte le medaglie d’oro e le onorificenze ricevute, molti dei superstiti dovrebbero essere processati per crimini di guerra e tutti i deprecatissimi processi subiti dai partigiani comunisti all’indomani del secondo conflitto mondiale, sarebbero più che giustificati. Altro che «Resistenza tradita»! Ma questo è proprio quello che vorrebbero Berlusconi e i suoi ministri, quando dicono di voler cambiare la Costituzione! Dico queste cose con sincera preoccupazione e non per desiderio di sterile polemica, ma per mettere l’accento sui pericoli che comporterebbe portare alle estreme conseguenze certi discorsi sulla cosiddetta «pacificazione e riconciliazione» a tutti i costi.

Gianni Ursini

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