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Nikolic “incoronato” senza i Balcani (Il Piccolo 12 giu)

L’inno nazionale serbo, “Boze Pravde”, significativamente seguito da quello europeo. Gruppi folkloristici e cibo serbo, musica tradizionale e rakija per gli ospiti del ricevimento, prodotta personalmente da Nikolic, il festeggiato. E soprattutto convitati di pietra, più presenti dei tanti convenuti. Offuscata dalle polemiche internazionali, si è svolta ieri a Belgrado la cerimonia solenne d’insediamento del presidente serbo Tomislav Nikolic. Avrebbe dovuto essere una festa in suo onore, alla presenza del Gotha del mondo politico balcanico. Ma a tenere banco sono state di nuovo le diatribe sull’isolamento in cui è precipitato il Paese dopo le recenti incaute uscite pubbliche di Nikolic, che hanno spinto all’angolo il neo-presidente, attaccato duramente da Bruxelles e Washington. E boicottato dalla maggior parte degli omologhi balcanici.

 

A Belgrado ieri mancavano tutti o quasi i Grandi della regione, con le eccezioni del presidente della Repubblica Srpska Dodik e del presidente montenegrino Vujanovic. Presenze significative anche quelle di Ahmet Davutoglu, ministro degli Esteri turco e del sottosegretario agli Esteri italiano Marta Dassù. Assenti invece il presidente croato Josipovic e lo sloveno Türk, che ha chiarito il motivo del suo gran rifiuto, dettato dalle «inappropriate dichiarazioni su Vukovar e Srebrenica». Non c’era neppure Bakir Izetbegovic, membro musulmano della presidenza tripartita bosniaca, che ha ribadito che le affermazioni su Srebrenica «ricordano il Nikolic di 10-15 anni fa». E mancava anche Gjorge Ivanov, il presidente macedone. Zero tolleranza da più fronti, dunque, verso le affermazioni di Nikolic che hanno toccato ferite non rimarginabili. «Un boicottaggio organizzato», non provocato dalle uscite su Srebrenica e Vukovar, lo ha definito ieri il ministro degli Interni del governo uscente, il socialista Ivica Dacic. Dacic che ha sottolineato che il comportamento dei leader balcanici verso il presidente serbo è paragonabile a «un insulto» verso il Paese, a una mancanza di rispetto verso la volontà degli elettori che hanno scelto democraticamente Nikolic.

 

Un Nikolic che ieri ha nondimeno mantenuto un profilo basso e mostrato la sua faccia europea. Prima un vertice bilaterale con Stefan Füle, commissario europeo per l’Allargamento con cui ha discusso delle prospettive europee di Belgrado. Prospettive che sono reali, anche perché «l’Ue sarà il vostro più stretto alleato», ha spiegato Füle, aggiungendo però che Bruxelles desidera allo stesso tempo «visibili progressi nelle relazioni con il Kosovo». Poi, in una sala del palazzo presidenziale affollatissima di politici, diplomatici, sportivi e uomini d’affari, esponenti religiosi e del jet set, oltre mille gli invitati, il misurato discorso programmatico di Nikolic. Non a caso pronunciato con Füle a fianco. Nel suo breve “urbi et orbi”, il presidente ha assicurato, tra le altre cose, che «la Serbia non ha il diritto di avere nemici. Il percorso europeo della Serbia è la via del futuro, della prosperità economica e io aiuterò il Paese a perseverare su quella strada». E il leader serbo ha poi cercato di chiudere le controversie con i Paesi vicini, chiarendo che non permetterà che «fatti del passato minaccino il nostro futuro» e garantendo che i problemi saranno risolti «con mezzi pacifici e democratici». Belgrado, ha confermato, condurrà «una politica di pace e stabilità». Una promessa che prepara il terreno a un’auspicabile ripresa del dialogo nei Balcani.

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