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Mix croato in salsa italiana (Runners’ World mar 10)

di MASSIMO BASSANO

GUARDO LA CITTA dall'alto delle sue poderose mura di difesa. I tetti, tutti ordinatamente ricoperti di tegole rosse, non mostrano più le profonde ferite della guerra recente. Solo da alcuni libri fotografici, in vendita nei negozi del centro, si apprende quello che Dubrovnik ha passato. Là città, patrimonio dell'umanità, trasformata in un cumulo di macerie. La perla dell'Adriatico vicina all'estinzione. Ricordo che piansi nel vederla distrutta in televisione. C'ero stato diversi anni prima, in barca a vela, e me n'ero innamorato perdutamente. Rappresentava l'approdo ideale, per un marinaio come me, la Dalmazia con le sue coste lussureggianti e le sue spiagge bianche bagnate da un mare indaco. Una tavolozza perennemente sporca di tutte le tonalità dello smeraldo.

Morena passa di gran carriera davanti all'obiettivo. Nel mio salto nel passato mi sono dimenticato della mia runner. Ancora un viaggio insieme. Alla scoperta del mondo con le scarpette ai piedi. Correre sopra le mura è un insolito allenamento. Lo stretto passaggio sopraelevato, che costringe Morena a zigzagare tra i turisti in visita, è ricco di salite, scalini e scalette, ripide discese e brevi rettilinei per un allungo. Un farllek perfetto. L'allenamento della giornata si conclude lungo lo Stradun, il corso principale che taglia in due la città vecchia. Il sole è andato quando ci sediamo per un aperitivo in uno dei tanti bar che si affacciano sulla piazza centrale. Morena è esausta, soprattutto di sentire i miei racconti sulla Dubrovnik che ho visto anni fa, sul mare, la vela e altre leggende simili. Ma so che tra poco potrò colpire la sua fantasia di donna e di runner. Stendo la mappa della città e, indicando il lungomare, propongo un allenamento veloce per il giorno dopo. «No protesta – ancora ripetute? Lo sai che mi piace correre libera, senza troppa pianificazione e – mi guarda dritto negli occhi – senza passare e ripassare dallo stesso posto!». Sotto sotto la capisco, anch'io uso da sempre la corsa come semplice "mezzo di trasporto". E un modo piacevole e rapido per visitare un luogo nuovo. Posso dire che ho girato il mondo con le scarpette. Su questo non mento, ci sono le prove CRWgennaio 2010, Il sogno di tutti, n.d.r.).

ITALIANO, STILISTA, CORRIDORE

«Vorrei esplorare alcune zone della città prima di proseguire verso il nord – inizio la mia diplomatica spiegazione – e poi, con la tua corsa, vorrei ripercorrere la storia di un certo atleta italiano, nato qui, a Ragusa…». Lascio le parole sospese sorseggiando un goccio di vino bianco dalmata. Come pensavo Morena ammutolisce. La curiosità femminile è una garanzia. «Da Dubrovnik? Italiano? Mi prendi in giro come sempre?», mi pressa. «Macché – rispondo -, questa una volta era terra italica. E non parlo della Repubblica di Venezia, ma di territorio italiano fino alla Seconda Guerra mondiale. Gli istriani, sai…». Morena scalpita, ma mi piace tenerla sulla corda. E così che riesco a farla correre sempre più. Le foto hanno la priorità su tutto. «E stato un quattrocentista molto famoso – le chiarisco -. Pensa che resiste un suo record giovanile: 48"80 stabilito all'Arena di Milano nel 1937, quando aveva sedici anni. E ancora il più veloce sedicenne d'Italia sul giro di pista». «Lui veniva proprio da qui, da Dubrovnik – concludo con enfasi -. Vogliamo o no ripercorrere l'infanzia di Ottavio Missoni?».

E cosi che sulle orme di Missoni, che i più conoscono come lo stilista che ha reinventato i colori della maglieria, Morena dà il meglio di sé in ripetute corte. Su e giù per le vie del centro storico e del lungomare. Ci fanno compagnia gli armigeri in maschera d'epoca che controllano gli ingressi alla città vecchia. II pomeriggio è dedicato alla cultura: chiese, conventi, musei, un nostro vecchio pallino. Concludiamo la notte al seguito dell'anima più giovane della città. Le viuzze del centro pullulano di locali pieni di gioventù, un fenomeno che meritava di essere osservato più da vicino. Lasciamo Ragusa malinconici, rapiti dalla sua bellezza. Andiamo in direzione nord.

SMERALDI GALLEGGIANTI

Tralasciamo la nuova autostrada che porta a Spalato preferendo la vecchia carreggiata che costeggia la costa. Il panorama mozza il fiato. Abbiamo l'affanno come a correre una ripetuta da mille a manetta. E un continuo di piccole baie solitarie e spiagge candide, con il bosco o la macchia mediterranea che ne proteggono il candore dagli sguardi indiscreti delle montagne vogliose di scendere al mare. «Tutte le estati mi reco in barca in Croazia, anzi in Dalmazia, come la chiamo ancora io – mi ha raccontato a suo tempo Ottavio Missoni -. Qualche settimana su una vecchia goletta di amici a rivedere i posti della mia infanzia». Di fronte, come smeraldi verde scuro che galleggiano sull'acqua, un gruppo di isole punteggia l'orizzonte. Riprendo la mia cantilena sul mare, i ricordi del passato e i progetti velici del futuro. Lasciamo la strada principale e c'introduciamo lungo la penisola di Pelješac, direzione Ston. Abbiamo sentito parlare di poderose mura percorribili di corsa. La più lunga fortificazione d'Europa dopo il famoso Vallo di Adriano. Morena ha goduto di quelle di Dubrovnik e vuole ripetersi. Qui però si sale e si scende, ma soprattutto fa piuttosto caldo. Ston significa Stagno. Dai tempi dei romani ci sono le saline di acqua di mare. Il sole picchia senza sosta. Ci rifugiamo per una pausa nella chiesa preromanica di San Michele, datata nono secolo. Lo spessore dei murici garantisce un immediato refrigerio. Ston è un concentrato di costruzioni antiche, chiese e palazzi, il più giovane dei quali ha 440 anni. Partiamo insieme per una corsa cultural-storica: anch'io devo mantenere una parvenza di buona forma fisica. Riporto Mo rena sul percorso murario che è lungo 5 chilometri e mezzo. Ci si potrebbe organizzare una gara. A senso unico. Tutti verso la torre in fondo e che vinca il migliore. Semmai tutti con vestiti del Rinascimento, il periodo più florido di Ston.

A CASA DI MARCO POLO

Dalla penisola di Pelješac non resisto alla tentazione di fare un salto sull'isola di Korčula. Ah, Korčula. Quante corse coi bambini profughi! I miei ricordi cambiano, dalla vela al volontariato durante il conflitto recente. Tra le varie cose organizzavo delle gare di corsa e per vincere l'apatia dei piccoli orfani di guerra raccontavo loro dell'Italiano di Ragusa, prima atleta e poi grande stilista. «Si comincia con la corsa, tutto passa per la corsa – li spronavo -. Siate in forma per il vostro futuro». Si narra che a Korčula nacque Marco Polo e che la sua casa natale sia proprio dietro la cattedrale. La chiesa è nella parte più alta del paese. Da qui si dipartono viuzze che scendono verso mare. Propongo un "lungo". Visiteremo la città vecchia e poi ci spingeremo verso est, verso i centri turistici dove, al tempo, venivano ospitati i profughi e dove io conservo alcune delle mie memorie più intense. Partiamo, ma non facciamo 200 metri che mi blocco. L'unico bar di Korčula aperto durante il conflitto è ancora lì, sulla mezza torre nord. Allora ero l'unico avventore. Ci andavo per esserci, come sostegno morale. Non c'era niente da bere, tranne caffè di pessima qualità e vino fatto in casa. «Guarda, Morena – mi agito e alzo la voce -, adesso si chiama Bar Massimo!». L'insegna in legno riporta ben chiaro il mio nome. Mi crogiolo a pensarlo come un tributo al mio coraggio fin quando Morena mi riporta coi piedi per terra: «Ehi eroe, andiamo, va', che ci aspettano ancora tanti chilometri di ricordi».

Si cambia. Meno storia e più bellezze naturali. Prima di arrivare a Spalato abbiamo optato per una sosta sull'isola di Brac. Non volevamo perdere il panorama su Boi, la capitale del turismo in Dalmazia. Questa micro località dell'isola vanta la frequentazione estiva più assidua. Una virgola di sabbia bianca s'incunea nel mare blu scuro. Tutt'intorno barche, windsurf e giocatori di tennis. Sì perché a Boi c'è un centro tennis di rilevanza mondiale. Corri, giochi a tennis, nuoti, veleggi: un programma meraviglioso per l'estate. Ci concediamo un lauto pranzo a base di pesce su una terrazza vista mare. Devo riconsiderare i miei ricordi sulla gastronomia croata. Tutto è fresco, ben cotto, gustoso. La cameriera cortese, il vino saporito. Vorremmo attardarci ma decidiamo di salire sul punto più alto dell'isola, il monte Vidova Gora, per ammirare il panorama di tutta la Dalmazia del sud prima di prendere il traghetto che ci riporterà sulla terra ferma, a Spalato.

L'ACCOGLIENZA DI SPALATO

Colonia sicula fondata dai siracusani nel 395 a.C, uno storico legame con l'Italia, Split ci accoglie nel migliore dei modi. La gente è cortese e sorride divertita a questa strana coppia che corre e si fotografa. Ci ricomponiamo per la visita allo sfarzoso Palazzo di Diocleziano e per assistere alla scenografica entrata dell'Imperatore nella piazza, scortato da sei centurioni. Visitiamo la città in lungo e in largo. Spingo Morena ovunque, per una maratona fotografica che lasci il segno: «Ancora un giro, un ultimo giro di pista», mischio le memorie di Ottavio Missoni con la passione semplice e genuina della mia protagonista per la corsa. Ho una bella confusione in testa, tra ricordi, passioni, storie umane, panorami verdi e blu. Ormai il viaggia volge al termine ma voglio finire proprio come un navigatore, visitando l'isola più bella della Dalmazia, Trogir. Un'isola minuscola, incastonata tra la terraferma e l'altra isola di Ciovo. Qui tutto è negozi o ristoranti, ma il fascino della storia è incredibilmente intatto: i palazzi in pietra levigata dal tempo, le vie piccole e tortuose, la cattedrale di San Lorenzo. Qui entriamo. Ultima visita. Il nostro commiato. Ci sediamo su una panca e ammiriamo i dipinti sulle pareti. Guardiamo la cartina con l'itinerario fatto. Con un pennarello cerchio tutta la zona, da Ragusa a Trogir. Un cerchio, un giro di pista. I colori di Missoni rivisitati sulla tavolozza croata. Questo viaggio ci ha lasciato senza fiato, come un giro di pista corso col cuore in gola, come solo a 16 anni si può fare.

 

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