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Matvejevic: popoli già pacificati, politica resta indietro (Il Piccolo 11 gen)

di ROBERTA GIANI

TRIESTE «La riconciliazione tra le popolazioni è già avvenuta». Predrag Matvejevic, scrittore e intellettuale affermato e pluripremiato, nemico di tutti i nazionalismi e di tutte le «democrature» dell’Europa dell’Est, non minimizza l’importanza di una riconciliazione ufficiale che unisca in un gesto simbolico i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia. Anzi, la caldeggia: «Sarebbe il momento giusto». Al contempo, però, l’autore di «Breviario mediterraneo» – uno dei suoi capolavori che, proprio il 9 gennaio, è arrivato alla sua decima edizione – osserva che la politica è rimasta indietro rispetto alle popolazioni dei tre paesi. Vittima dei calcoli elettorali e del tributo pagato alle «frange estreme» indispensabili per governare.

Al contempo, però, uno dei «testimoni» più illustri dei Balcani – nato a Mostar da madre croata e padre russo, vissuto per tredici anni tra «asilo ed esilio» in Italia dove ha insegnato alla Sapienza, ottenuto cittadinanza e decorazioni, infine ritornato a vivere a Zagabria proprio per «testimoniare dall’interno e non dall’esterno» – non può non allargare il discorso. Soffermandosi sui rapporti «mai così critici» tra Slovenia e Croazia, con la prima che si oppone all’ingresso in Europa della seconda, brandendo l’irrisolto nodo bilaterale dei confini.

Come si spiega l’irrigidimento di Lubiana?

L’attuale situazione deriva da una storia abbastanza lunga che si sta complicando a causa della crisi economica internazionale.

Perché?

La crisi è molto difficile per i paesi dell’Europa dell’Est «in transito» verso l’Unione europea in quanto si somma a un passato pieno di problemi. Lo vediamo anche nei paesi già entrati come la Repubblica ceca, la Romania, la Bulgaria, la Polonia e in certa misura la Slovenia che pure ha realizzato la migliore «transizione».

In questo quadro come si inserisce la questione dei confini tra Slovenia e Croazia?

Bisogna ripercorrere la storia sin dal ’91. La prima soluzione è stata quella prospettata dalla commissione Badinter: prevedeva di lasciare che i confini rimanessero quelli esistenti tra le ex repubbliche jugoslave. A me sembrava francamente una soluzione giusta nonostante non fossi entusiasta della distruzione dell’ex Jugoslavia.

Non passò.

La seconda soluzione ipotizzata fu la bozza di accordo tra i presidenti croato e sloveno, Ivica Racan e Janez Drnovsek, anche questa razionale e accettabile. Entrambi sono morti, come i partiti a cui appartenevano, e i populisti e i nazionalisti venuti dopo hanno fatto cadere anche questa seconda soluzione, affermando che quei due «ex comunisti» non erano affidabili e distribuivano facilmente la terra natia, in quanto «privi di patriottismo».

E poi?

La Croazia, nel frattempo, approvò ai massimi livelli la famosa Zerp, la zona ecologico-ittica, sollevando le proteste molto forti di Slovenia e Italia. La Zerp, infatti, sottintendeva in qualche modo la probizione per gli sloveni di avere l’accesso diretto alle acque internazionali. Atto esagerato che la Croazia stessa dovette ritirare, non senza patire un’umiliazione.

A quel punto che successe?

Iniziò la stagione della propaganda sia slovena sia croata sui mass media: propaganda che si è servita talvolta di incidenti minori, privi di importanza. Si è persino sentita la voce di un deputato croato della destra estrema che salutava alla romana sollecitare l’invio di navi da guerra contro la Slovenia. Così, un passo dopo l’altro, si è arrivati alla situazione attuale.

Al veto di Lubiana all’ingresso della Croazia.

Quello sloveno assomiglia a un ricatto: o Zagabria sistema le cose come Lubiana vuole oppure Lubiana non la fa entrare in Europa.

Ma qual è il motivo vero di questo ricatto?

La Slovenia, pur avendo fatto un’ottima «transizione», soffre una frustrazione molto forte e vuole dimostrare di avere il potere di influenzare le decisioni. Da qui, appunto, il ricatto alla Croazia anziché la ricerca di un accordo nella cornice dell’Unione europea. È come se ci fosse una mancanza di fiducia nei confronti di Bruxelles.

Vie d’uscita?

Se la Croazia entrasse nell’Unione europea, come meriterebbe, sarebbe sicuramente più facile risolvere il problema dei confini, con l’aiuto dei paesi che hanno già manifestato la volontà di dare una mano: l’Italia in primo luogo, ma anche l’Austria, la Repubblica ceca…

Auspica, dunque, una mediazione internazionale?

Un forum internazionale o europeo potrebbe contribuire a risolvere questo problema bilaterale che è stato internazionalizzato.

In che modo?

Ci sono alcuni aspetti che vanno senz’altro analizzati in maniera imparziale: quale parte del golfo di Pirano, ad esempio, può pretendere la Slovenia? E quale significato hanno alcuni confini del retroterra là dove un fiume ha cambiato il suo letto e ha lasciato qualche prato da una parte e qualche prato dall’altra? Ma non c’è solo questo.

Che altro c’è?

La Slovenia, lo ripeto ancora una volta, ha fatto un’ottima «transizione». Due personalità di grande livello, come Milan Kucan e lo stesso Drnovsek, non hanno permesso di vendere le industrie redditizie e hanno cercato di conservare al meglio il patrimonio ereditato dall’ex Jugoslavia. Al contempo, però, quando è entrata in Europa, la Slovenia non ha risolto alcuni nodi spinosi sui quali la Croazia non è potuta intervenire in alcun modo.

Quali?

La cancellazione dei cittadini che, pur abitando e lavorando in Slovenia da anni, non erano di origine slovena. Ma anche la questione dei risparmi dei cittadini dell’intera ex Jugoslavia prelevati dalla Ljubljanska Banka: una somma ingente che non ha coperto tutte le spese della «transizione» ma ha aiutato ad ungere le ruote.

Riassumendo?

Se non si tiene conto di tutti questi elementi, visto che non esistono problemi etnici o religiosi tra i due paesi, non si può comprendere l’esplosione attuale della crisi tra Slovenia e Croazia. Una crisi mai così profonda che influenza anche la questione dei rapporti con l’Italia e con il passato: proprio in questi giorni abbiamo sentito il presidente sloveno Danilo Türk lamentare un «deficit etico» dell’Italia che non ha ancora «vissuto una catarsi necessaria».

Se l’aspettava che Türk affondasse il gesto di riconciliazione a tre che il presidente croato Stipe Mesic aveva invece auspicato?

Türk, francamente, mi ha sorpreso. Quanto a Mesic, sebbene io l’abbia spesso criticato, lo ritengo un vantaggio per i Balcani: non è un nazionalista, ha avuto il coraggio di recarsi nel terribile campo degli ustascia di Jasenovac dove ci sono stati almeno 70mila morti, innanzitutto serbi ed ebrei, un coraggio analogo a quello del tedesco Willy Brandt.

Ma perché è così difficile un gesto di riconciliazione a tre?

Ci tengo a dire una cosa. Conosco bene Trieste, ci sono stato moltissime volte, ho molti amici, e ritengo che la riconciliazione tra le popolazioni in quelle terre è già avvenuta. Nei fatti.

La politica, dunque, è indietro. Ma perché?

Perché le maggioranze di governo sono risicate e si completano con nazionalisti, parafascisti, frange estreme: i politici non possono permettersi di scontentarle.

L’Italia, con il ministro degli Esteri Franco Frattini che proprio domani sarà a Zagabria, si è offerta di mediare tra Slovenia e Croazia. A suo avviso che contributo può dare?

Sino a non molto tempo fa sembrava che prevalessero le posizioni dure della Lega nord, ma adesso la diplomazia italiana guidata dal ministro Frattini sembra prontissima ad aiutare questi due paesi vicini a trovare un accordo, sostenendo l’ingresso della Croazia nell’Unione europea. Mi auguro lo faccia: penso sia un’ottima occasione per il mio secondo paese di manifestare la sua presenza, la sua identità e la sua importanza a livello europeo.

 

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