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Maria Pasquinelli, una vita tumultuosa – 05lug13

Maria Pasquinelli (Firenze, 16 marzo 1913 – Bergamo, 3 luglio 2013) è stata un’insegnante italiana, nota per aver ucciso, il 10 febbraio 1947, a seguito della cessione della città di Pola alla Jugoslavia, il generale W. De Winton, massima autorità Alleata nella città.

La Pasquinelli si diplomò maestra elementare e successivamente si laureò in pedagogia a Bergamo. Iscrittasi nel 1933 al Partito Nazionale Fascista, frequentò anche la scuola di mistica fascista.

 

La guerra 

Nel 1940 si arruolò volontaria crocerossina al seguito delle truppe italiane in Libia. Su questo fronte bellico notò “l’insufficiente partecipazione al combattimento di chi l’aveva predicato” e il basso morale delle truppe “non illuminate da alcun ideale”. Nel novembre 1941 lasciò l’ospedale di El Abiar (a 40 km da Bengasi), dove prestava servizio, per raggiungere la prima linea travestita da soldato con la testa rasata e documenti falsi; scoperta, fu riconsegnata ai suoi superiori e rimpatriata in Italia. Nel gennaio 1942 chiese di essere inviata come insegnante in Dalmazia e per qualche tempo insegnò l’italiano a Spalato (allora italiana e facente parte del Governatorato di Dalmazia).

 

L’attività in Istria e Dalmazia

Dopo l’armistizio di Cassibile il 12 settembre 1943 Spalato fu occupata dai comunisti iugoslavi che imposero il disarmo della Divisione Bergamo. Parte dei militari italiani costituì il battaglione Garibaldi che fu impiegato contro i tedeschi a Glis. Nel contempo i partigiani iniziarono a imprigionare numerosi soldati e civili che spesso furono sommariamente uccisi nell’indifferenza del generale italiano Emilio Becuzzi, tra questi il provveditore agli studi Giovanni Soglian e diversi insegnanti. La stessa Pasquinelli fu imprigionata dai partigiani comunisti jugoslavi e condannata a morte finché fu liberata dalle avanguardie tedesche che occuparono la città il 27 settembre. A Spalato aiutò a recuperare da una fossa comune le salme di 106 civili italiani e militari della “Bergamo” uccisi durante l’occupazione titina e documentò le stragi di italiani compiute in Dalmazia ed Istria dai titini. Minacciata di morte dai comunisti, ma temendo anche gli ustascia, su consiglio di amici abbandona la città rifugiandosi a Trieste il 1º novembre 1943.

 

A Trieste collaborò con il “Comitato Profughi Dalmati” e subissò di memoriali e di denunce le autorità della RSI. Si trasferì poi a Milano dove riprese il lavoro di maestra, qui entrò in contatto con il principe Junio Valerio Borghese, comandante della Xª Flottiglia MAS, cui consegnò copia della sua documentazione. In breve decise di far ritorno a Trieste per aiutare i profughi.

 

Inviata sotto copertura dalla Xª Flottiglia MAS con l’appoggio del Comando Mezzi d’Assalto Alto Adriatico cercò di stabilire contatti con i partigiani della “Franchi” legati ad Edgardo Sogno nella speranza che facessero pervenire la documentazione fino al momento preparata al governo del Sud e con quelli delle “Brigate Osoppo” col proposito di costituire un blocco per la difesa dell’italianità nel confine orientale convinta di poterci arrivare diffondendo il più possibile le informazioni circa i massacri dell’Istria. Il 2 marzo 1945, decisa a raccogliere ancora più materiale relativo agli eccidi avvenuti in Istria si recò in viaggio a Pisino, Parenzo e Pola. Nella sua attività fu aiutata dalle federazioni fasciste locali e da alcuni responsabili del CLN.

 

Il 15 marzo rientrò a Trieste, ma per questa attività fu ricercata dall’OZNA, la polizia segreta jugoslava e dalla polizia tedesca che invece la accusava di contatti con il governo del Sud. Entrambe le polizie tentarono di trovarla, pertanto fu nascosta dal capitano di corvetta Aldo Lenzi della Xª Flottiglia MAS. Scoperta fu arrestata dalla Luftwaffe e incarcerata per quasi un mese fu infine liberata l’11 aprile per un intervento personale di Junio Valerio Borghese. Ricercata ancora dall’OZNA, con tutta la sua documentazione, riparò a Milano presso il comando della Xª Flottiglia MAS dove rimase fino al 26 aprile assistendo allo scioglimento del reparto.

 

Nel maggio consegnò tutta la sua documentazione allo Stato Maggiore dell’Esercito.

 

L’uccisione del generale De Winton 

Vicino alla romana “Porta Gemina” di Pola, Maria Pasquinelli uccise il generale inglese De Winton davanti al “Quartier generale Alleato”.

La mattina del 10 febbraio 1947 il brigadiere generale W. De Winton (comandante della guarnigione britannica di Pola) lasciò il suo alloggio. In quelle stesse ore a Parigi si stava firmando il trattato di pace da parte dei rappresentanti del governo italiano ed a lui sarebbe toccato il compito di cedere l’enclave di Pola alla Jugoslavia. I cittadini di Pola si erano illusi nei venti mesi di presenza di militari alleati di sfuggire al destino di passare sotto la Jugoslavia.

 

Il passaggio di poteri sulla città di Pola avrebbe avuto luogo in concomitanza con la firma del trattato di pace. Per l’occasione, la guarnigione britannica era stata schierata davanti alla sede del comando ed il generale De Winton fu invitato a passarla in rassegna. Quella mattina, come tutte le altre, la Pasquinelli si era recata al porto per assistere i profughi che lasciavano la città per raggiungere Trieste poi si era diretta presso il comando britannico.

 

De Winton, arrivato in macchina, stava avanzando verso il reparto schierato quando, dalla piccola folla presente, si staccò la Pasquinelli che si diresse verso il generale. Velocemente prese la pistola e fece fuoco per tre volte in rapida successione da breve distanza, senza pronunciare una parola. Un dei colpi ferì anche uno dei militari. Poi la Pasquinelli lasciò cadere la pistola a terra e si lasciò arrestare da uno dei soldati del picchetto. La notizia presto diffusasi in città attirò per le strade numerosi polesani che innalzando il tricolore lanciarono invettive contro le truppe di occupazione. Temendo l’inizio di una rivolta fu proclamato il coprifuoco.

 

In tasca della Pasquinelli venne trovato un biglietto-confessione nel quale spiegava le ragioni che l’avevano portata a compiere quel gesto. In questa lettera si leggeva:

«Mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio.»
(Dalla lettera di rivendicazione trovato indosso alla Pasquinelli)

 

Le reazioni

Per qualche giorno le autorità militari alleate mantennero il massimo riserbo. Del delitto circolarono le versioni più varie: isterismo, delitto passionale, provocazione fascista o titina e così via, tuttavia il giornalista Indro Montanelli, presente a Pola come inviato del Corriere della Sera, riuscì a rendere nota la vera natura dell’attentato. Dopo l’attentato, che da parte della stampa di sinistra venne giudicato come un “rigurgito fascista”, il corrispondente da Pola dell’Associated Press Michael Goldsmith scrisse:

« Molti sono i colpevoli, i polesani italiani non trovano nessuno che comprenda i loro sentimenti. Il governo di Roma è assente, gli slavi sono apertamente nemici in attesa di entrare in città per occupare le loro case, gli Alleati freddi ed estremamente guardinghi. A questi, specie agli inglesi, gli abitanti di Pola imputano di non avere mantenuto le promesse, di averli abbandonati. »

 

Il processo e il carcere

Il 19 marzo 1947 ebbe inizio il processo contro la Pasquinelli, davanti alla Corte Militare Alleata di Trieste. L’imputata si dichiarò colpevole e spiegò le ragioni che l’avevano indotta a compiere l’attentato. Il 20 marzo la Pasquinelli rievocò la propria attività durante la guerra e dei contatti intercorsi con le autorità della RSI e i partigiani.

 

« Ma ogni mio sforzo fu vano perché gli italiani credevano di fare il bene della Patria solo mantenendo una assoluta fedeltà allo straniero. »
(Maria Pasquinelli nella deposizione al processo)

Il dibattito si svolse senza tumulti né colpi di scena. Solo il 9 aprile, l’aula fu fatta sgombrare dal presidente Chapman, quando il difensore avv. Giannini (accettato dalla Pasquinelli a patto che non cercasse di attenuarne la colpevolezza), invitato dal presidente ad adeguarsi alla procedura seguita dalla Corte alleata, rispose che la sua posizione era: “non da avvocato vicino alla cliente ma da italiano vicino ad un’italiana”. Nell’aula il pubblico applaudì e si udirono grida “Viva l’Italia”. Fu allora che l’aula venne fatta sgombrare.

 

Il 10 aprile la Corte alleata pronunciava la sentenza di condanna a morte, All’invito della Corte rivolto alla Pasquinelli e al suo avvocato di appellarsi entro trenta giorni la Pasquinelli rispose:

« Ringrazio la Corte per le cortesie usatemi, ma fin d’ora dichiaro che mai firmerò la domanda di grazia agli oppressori della mia terra. »

Il giorno seguente Trieste fu inondata da una pioggia di manifestini tricolori sui quali era scritto:

« Dal pantano è nato un fiore, Maria Pasquinelli. Viva l’Italia »

In numerose città italiane vi furono proteste e raccolte firme richiedendo la commutazione della pena inviate sia al Governo italiano sia a quello Alleato. Il 21 maggio 1947, la pena capitale fu commutata in ergastolo e fu trasferita nel penitenziario di Perugia.

 

Dopo la scarcerazione

Nel 1965 tornò in libertà andando a vivere a Bergamo.

 

Nel 2011, rilasciò brevi interviste alla giornalista Rosanna Turcinovich Giuricin.

 

È scomparsa a Bergamo, nella sua casa, il 3 luglio 2013, 3 mesi dopo il suo 100-esimo compleanno.

 

Il testo parziale dell’interrogatorio della Pasquinelli, nel suo Processo davanti alla Corte Militare Alleata, fu pubblicato in “Il Dramma della Venezia Giulia” (Del Bianco editore – Udine, 1947).

 

Bibliografia

 

Arrigo Petacco, L’Esodo, La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1999,
Stefano Zecchi, Maria, una storia italiana d’altri tempi, Vertigo editoriale, Trieste, 2006
Rosanna Giuricin, La giustizia secondo Maria, Pola 1947 la donna che sparò al generale brigadiere Robert W.De Winton, Collana civiltà del Risorgimento – Del bianco Editore Udine, 2008

 

(fonte Wikipedia)

 

 

 

La giovane Maria Pasquinelli

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