di MISKA RUGGERI
L'amara verità è stata rappresentata già una decina di anni orsono con notevole icasticità da una vignetta di Krancic: una bilancia con su un piatto i tanti teschi delle vittime della falce e martello e sull'altro un unico teschio, ma assai più pesante, a simboleggiare quelle della svastica. Un decennio di revisionismo (storiografico e, seppure in minima parte, giudiziario) dopo, non è cambiato nulla. Erich Priebke lo si va a prendere in Argentina e (giustamente) non gli si condona nulla, mentre tra di noi o a un passo dai nostri confini orientali vivono o hanno vissuto per anni e anni in somma tranquillità decine di persone accusate di aver partecipato a feroci violenze contro gli italiani, spesso e volentieri dopo la "liberazione" di Trieste, Gorizia, l’Istria, Fiume e la Dalmazia da parte dei partigiani iugoslavi di Tito. Per gli infoibatori, infatti, la campana della giustizia non suona mai. Anzi, talvolta il Belpaese ha pensato bene di elargire loro addirittura una pensione dell'Inps. Vediamo alcuni esempi alcuni esempi tra i più noti e i a meno rischio querela (perché capita anche questo: per una virgola fuori posto i macellai ti portano in tribunale…), con la consulenza dello storico Marco Pirina, presidente del Centro Studi e Ricerche Storiche "Silentes Loquimur" di Pordenone.
Innanzitutto Mario Tofianin, nome di battaglia "Giacca", il responsabile dell'eccidio di Porzùs, quando con un gruppo di partigiani comunisti appartenentì ai Gap delle Brigate Garibaldi, nel feb¬braio 1945, massacrò i membri della Brigata Osoppo (tra cui il comandante Francesco De Gregori, omonimo zio del cantautore, e Guido Pasolini, fratello dello scrittore Pier Paolo) con la falsa accusa di trattative con i tedeschi e la Decima Mas. Condannato all'ergastolo, Toffanin, esecutore tanto ottuso quanto crudele, si nascose prima in Jugoslavia e poi in Cecoslovacchia, finché non fu graziato dal presidente Pertini. Prima di morire a 86 anni in Slovenia il 22 gennaio 1999, tra una versione e l'altra dei fatti, ma sempre con la costante convinzione che «se li avessi di nuovo davanti, li accopperei ancora», ha fatto in tempo a ricevere una pensione Inps da 672.270 lire al mese per 13 mensilità e a intentare una causa al regista di "Porzùs" Renzo Martinelli.
Poi Oscar Piskulic, detto "Zuti" (il giallo), dal 1943 al 1947 uomo dell'Ozna, la polizia segreta di Tito, a Fiume, accusato davanti alla Procura di Roma dell'uccisione o della sparizione di oltre 500 italiani dal 3 maggio al dicembre del 1945. Ovviamente invano: alla fine, dopo varie polemiche sugli atti del procedimento a suo carico in lingua italiana e non croata e persino un ricorso al Tribunale di Strasburgo per violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, è stato dichiarato non processabile per motivi di competenza territoriale… Ma l'elenco è ancora lungo. Nerino Gobbo, conosciuto come il comandante "Gino", condannato invia definitiva a Trieste per i crimini della Guardia del Popolo (partigiani comunisti italiani e sloveni) nel capoluogo giuliano, e cioè «prelevamenti, stupri, violenze e sparizioni», vive tuttora a Isola d'Istria. E percepisce una regolare pensione. Franco Pregelj, il comandante "Boro", uomo di collegamento con il IX Corpus dell'esercito partigiano iugoslavo che aveva occupato Gorizia, responsabile della scomparsa di oltre 600 italiani (tra cui Licurgo Olivi e Augusto Sverzutti, entrambi esponenti del Comitato di liberazione), è vivo e vegeto a Lubiana, con relativa pensione. Il processo contro di lui è stato archiviato a Bologna nel 2003 con riferimento all'amnistia Togliatti. La stessa che ha salvato Giuseppe Osgnacco, detto "Josko", comandante militare della banda partigiana Beneska Ceta dedita alla pulizia etnica nelle Valli del Natisone. Non è invece mai arrivato davanti ai magistrati il defunto Ivan Motika, soprannominato "il boia di Pisino", giudice del famigerato "Tribunale del Popolo". Andiamo avanti. Eliseo Dal Pont, comandante di quella Brigata Mazzini responsabile di crimini di guerra nel Trevigiano a Valdobbiadene, Miane e Segusino, si è vantato a Telepordenone dell'eccidio di Lamosano, dove il 21 marzo 1945 furono uccisi e cremati 55 alpini repubblichini. Ma è vissuto senza problemi a Belluno fino a due anni fa. Silvio Pasi, colpevole dell'uccisione dei Conti Manzoni, condannato e fuggito in Jugoslavia, oggi ha una via a lui dedicata a Lavezzola (Ravenna), a pochi metri dalla villa dei Conti. Arrigo Boldrini, ex parlamentare del Pci (con conseguente ricca pensione) e presidente onorario dell'Anpi, non ha mai risposto dell'eccidio di Codevigo (Padova), dove nel maggio 1945 oltre 100 ravennati furono sterminati dai suoi uomini della 28° Brigata Garibaldi "Mario Gordini". Infine, la storia di Bruno Bottazzi, di Castelfranco Emilia (Modena), condannato per vari crimini, scappato nella solita Jugoslavia, diventato ingegnere, amnistiato e tornato qualche tempo fa. Subito si iscrive all'Anpi e ai Ds. Che però, non appena si rendono conto di chi sia in realtà, lo espellono.