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Liberal – 090208 – I negazionisti boicottano il 10 febbraio

Renato Cristin [9 febbraio 2008]

Domani si inaugurerà sul Carso triestino il Centro di documentazione della
Foiba di Basovizza – Museo storico delle Foibe. È una buona notizia, ma fa
riflettere il fatto che solo oggi la memoria della pulizia etnico-politica
perpetrata negli anni 1943-45 dai comunisti jugoslavi, con la collaborazione
di molti loro compagni italiani, nei confronti degli italiani di Trieste,
Istria, Fiume e Dalmazia abbia potuto trovare una dimensione museale
istituzionale. Quello scompenso storico la dice lunga sulle avversità che la
memoria di quella tragedia ha dovuto subire per affermarsi nella prassi
istituzionale, nella coscienza civile e nell'opinione pubblica italiana.

Le oltre 5000 vittime delle foibe sono state la punta insanguinata di un
iceberg di quasi mezzo milione di italiani che per sfuggire alle
persecuzioni dovettero abbandonare le loro case e andare in esilio. Grazie
alla tenacia degli esuli sopravvissuti e dei loro, pochi, sostenitori
politici, si è potuto acquisire un ampio apparato documentale e
un'autorevole e univoca interpretazione storiografica. Ma trascorsero
decenni di silenzio, di oblio politico, di mistificazioni storiografiche, di
violenze psicologiche, prima che, nel 2004, il Governo italiano
istituzionalizzasse il 10 di febbraio come Giorno del Ricordo. In
quell'occasione, l'Italia trovò un momento di coesione restituendo alle
vittime di quella persecuzione l'ufficialità e la dignità nazionale che le
erano dovute.

Lo sforzo pluridecennale di un esiguo gruppo di parlamentari di destra e di
centro trovò giustizia con quella legge, approvata da una larga maggioranza
bipartisan. Il cantautore Gino Paoli raccontò: «Parte della famiglia di mia
madre morì infoibata. I miei parenti non erano militanti fascisti, ma i
partigiani titini, appoggiati dai partigiani comunisti italiani, vennero a
prenderli di notte: un colpo alla nuca, poi giù nelle foibe». Il
negazionismo sembrava debellato, ma non è così. Episodi di riemersione
sfregiano la memoria di quella tragedia: il convegno negazionista odierno
sui "cosiddetti infoibati" promosso dal PdCI a Sesto S. Giovanni; la
cancellazione del convegno studentesco previsto al teatro Brancaccio di Roma
a causa delle minacce dei gruppi giovanili della sinistra, che ieri hanno
sfilato in un corteo neostalinista.

Ma accanto a questi, ci sono fatti ancor più gravi perché istituzionali e
legati a un Governo dimissionario, come l'episodio del francobollo su "Fiume
italiana", la cui emissione fu bloccata nell'ottobre 2007 secondo istruzioni
ricevute dal Governo Prodi, e come l'episodio di poche ore fa del rinvio
all'estate prossima dell'emissione filatelica dedicata al Liceo italiano
"Combi" di Capodistria, prevista per il 9 febbraio e bloccata da Poste
italiane per un presunto errore di "titolazione". Su questi fatti Roberto
Menia, relatore della legge per il Giorno del Ricordo, ha un'idea precisa:
«Se a destra oggi la coscienza della ricomposizione della memoria storica è
un fatto acquisito, la sinistra ha aggiunto al negazionismo il
giustificazionismo rispetto alle motivazioni di quei massacri.

Il francobollo sul Liceo Combi di Capodistria è stato bloccato su ordine di
D'Alema, più preoccupato di non dispiacere il nazionalismo della Slovenia
che di salvaguardare la coscienza storica dell'identità italiana». Queste
forme di negazionismo istituzionale non sono però isolate, se, per esempio,
un ambasciatore in carica si ostina a considerare questa tragedia una
questione di mera opinione politica. L'ambasciatore a Berlino Puri Purini,
nel 2006 si adoperò per impedire, nel ruolo di funzionario dello Stato ma da
incredibile antitaliano, una manifestazione che organizzai quando dirigevo
l'Istituto di Cultura di Berlino per commemorare il Giorno del Ricordo. In
contraddizione con l'allora Presidente Ciampi, di cui egli era stato
consigliere diplomatico e che fu invece un grande sostenitore della verità
sulle foibe, Puri Purini boicottò con indegne intimidazioni il convegno, al
quale invitai anche l'ex-Presidente della Camera Luciano Violante.

I casi di intolleranza e di negazionismo sono in aumento. Se le demenzialità
di uno pseudostorico come Irving non hanno incidenza sulla ricerca
storiografica che conta né sull'opinione pubblica, molto più pericoloso è un
atteggiamento culturale che trasferisce il negazionismo antisemita classico
su un piano concettualmente ambiguo, come nel caso del nuovo antisemitismo
che si è recentemente mostrato nella contestazione che alcuni intellettuali
hanno mosso alla scelta della Fiera del Libro di Torino di avere come ospite
d'onore lo Stato di Israele. Con un'abile e subdola mossa retorica viene
negata la verità storica di Israele senza cadere nel negazionismo della
Shoah. Ma sempre di falsificazione si tratta, e di una gravità maggiore
perché si insinua negli interstizi fra ideologia e cronaca.

All'elenco di atti che si situano nella zona oscura fra intolleranza e
negazionismo si può sommare il boicottaggio che ha portato alla
cancellazione della lezione di Papa Benedetto XVI alla Sapienza (e segnalo
che ai 67 firmatari della lettera che diede inizio alla vicenda si sono
aggiunti oggi 1500 docenti universitari che hanno sottoscritto un documento
di sostegno ai loro colleghi), e si deve aggiungere la lista di
proscrizione, che circola da qualche giorno in rete, che contiene un elenco
dei professori universitari ebrei accusati di fare lobby. Roba che fa
rabbrividire, da prendere molto sul serio e alla quale reagire con il
massimo rigore.

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