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L’Europa si ferma a Pirano (Il Giornale 21 mag)

di Rolla Scolari

Sono arrivati anche quest'anno, in anticipo su tutti, i turisti tedeschi a Pirano, in Slovenia. Con le loro macchine fotografiche passeggiano lungo il porticciolo, ammirano le architetture in stile veneziano, si perdono nelle viuzze del borgo, ignari che le tranquille acque del golfo protagonista delle loro vacanze siano al centro di un'aspra contesa internazionale: una disputa tra Slovenia e Croazia sul confine di terra e di mare che li divide. L'Europa, per ora, si ferma alla baia di Pirano. Qui, a soli 40 chilometri da Trieste, si blocca l'allargamento dell'Unione e si rafforzano i nazionalismi.

La notizia è arrivata, settimane fa, dai grigi palazzi di Bruxelles: l'Unione europea ha congelato i negoziati d'accesso di Zagabria sulla controversia con la Slovenia. Così, Lubiana, capitale mitteleuropea di una Paese orgoglioso del proprio passato asburgico, detiene le chiavi per aprire la porta alla vicina Croazia, in odor di Balcani. Il voto, nell'Ue, è infatti all'unanimità e per gli sloveni non ci sarà accesso senza soluzione al confine, assicurano dalla rappresentanza a Bruxelles. Fino a oggi, si sono occupati senza successo della questione le amministrazioni locali, i due governi. Si è pensato persino di rivolgersi al tribunale dell'Aia. In campo è ora sceso il commissario europeo all'Allargamento, Olli Rehn: il suo piano d'arbitrato, che potrebbe non incontrare l'entusiasmo di quei Paesi membri restii a nuove adesioni, è stato accettato finora soltanto dalla Croazia, ansiosa d'entrare entro il 2011.

È difficile, guardando il fiumiciattolo Dragogna, che prima di buttarsi in mare non è più largo di due metri, pensare che il corso d'acqua sia finito nei dossier di ministri olandesi, finlandesi, tedeschi o portoghesi… Eppure, è proprio nei 113 ettari di terra lungo una delle sue rive e nella baia antistante che si concentrano le preoccupazioni europee. È cominciato tutto nel 1991, per farla breve senza risalire nel tempo di una terra che è stata Venezia, Francia, impero austro-ungarico, Italia, Territorio libero di Trieste, Jugoslavia, Croazia o Slovenia. Quando le due Repubbliche jugoslave dichiarano l'indipendenza, fu mantenuto di comune accordo il confine repubblicano: il fiume. Oggi, si litiga per tre minuscole frazioni lungo il corso d'acqua, attaccate al posto di confine croato: una macchia di lamiera azzurra nel verde della campagna è l'ultima frontiera del mondo di Schengen. I paesini sono amministrati dal comune di Buje, Croazia, ma iscritti al catasto di Pirano, Slovenia. Ma il vero problema è in mare. Se il confine di terra è la Dragogna, la conseguente divisione della baia di Pirano non garantisce alla Slovenia, povera di coste, l'accesso alle acque internazionali. Quanto basta per scatenare la disputa, fermare l'Europa alla porta dei Balcani, fomentare spinte nazionaliste.

Tudi tukaj je Slovenija, anche questa è Slovenia, è scritto sul muro bianco di una casa, pochi metri oltre il confine croato. Sventola una bandiera slovena. Joško Joras ci è finito in prigione, per quella bandiera. Lui, un piccolo signore brizzolato che alleva cavalli e coltiva pomodori a pochi passi dai doganieri, è sloveno di Maribor, a Nord. È un "continentale", come chiamano qui la gente dell'interno. Ha fatto rumore, creato il caso. Quella terra per lui è Slovenia "occupata" dalla Croazia. Rifiuta di passare il confine croato mostrando i documenti, racconta offrendo succo di mele e stendendo carte topografiche sul tavolo in giardino. Affinché Joras potesse entrare in casa senza "sconfinare", sono scesi in campo perfino ministri. Gli hanno concesso "una rampa", che collega i suoi terreni ai primi metri di Slovenia. Ma per i locali Joras, ex consigliere comunale di Pirano per il Partito popolare, alimenta soltanto tensioni, ha un'agenda politica. Poco più là, dopo aver percorso una stretta strada tra i canneti, il clima è diverso: si arriva alla frazione "contesa" di Skudelini, sei o sette case. «Noi non possiam dire male di nessuno, non siam né di qua né di là. Siam nel mezzo», dice la signora Anna, 89 anni, occhiali spessi e mani ruvide. Parla il dialetto istro-veneto, come la maggior parte delle persone in questi pochi ettari di campagna. La sua vicina, Viviana Pribac, pallida studentessa di 29 anni, racconta la vita nel minuscolo villaggio in cui si ferma l'Europa. «Le bollette le paghiamo alla Croazia, ma siamo sotto il catasto di Pirano». Documenti a parte, «non mi sento né croata né slovena, ma istriana».

Il confine «era soltanto sulla carta, ora c'è e pesa nelle teste delle persone», dice Lorella Limoncin Toth, sindaco di Buje, primo paese della Croazia. Per i locali, da una parte e dall'altra, il problema non esiste. «Sa cosa raccontano i vecchi? – chiede – "Ho abitato in Italia, Territorio di Trieste, Jugoslavia, Croazia. Ma sempre nella stessa casa"». Il confine esiste per i politici a Zagabria e Lubiana, dice il sindaco Tomas Gantar, a Pirano.

C'è però chi è preoccupato che il continuo inasprimento dei toni, il logorio dei mass media, alimenti tensioni sul terreno, come quando ci furono manifestazioni al confine croato, l'estate scorsa: 200 persone lungo la Dragogna, "continentali", "esaltati", "nazionalisti", li chiama Aurelio Juri, deputato europeo socialdemocratico, ex sindaco di Capodistria e contrario al blocco della Croazia in Europa. Secondo un recente sondaggio il 90 per cento degli sloveni è favorevole a non far entrare Zagabria, spiega. «Questo è pericoloso: la Croazia è sull'orlo della bancarotta – dice – c'è malessere sociale e il rischio è che la rabbia sia rivolta verso chi ha sbarrato la strada verso il Paradiso europeo. Si crea una situazione esplosiva: fermando Zagabria, si blocca la via anche a Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro… e i nazionalismi si fanno vivi con vecchie dinamiche pericolose. Anche se ora è diverso: sia Slovenia sia Croazia sono nella Nato».

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