Battaglia di Lepanto – La pillola di Gigio Zanon
Leggo in più parti ciò che ognuno dice sulla battaglia di Lepanto e sul presunto intervento Divino nella conseguente vittoria della flotta della Cristianità.
Al punto, scrive lo storico Distefano, che il Papa Pio V alle ore 12 ordinò di suonare le campane e che da quel giorno suonano sempre a quell’ora. Ma invece i fatti sono molto diversi.
Il merito quasi totale della vittoria fu delle navi Veneziane capitanate da Sebastiano Venier e delle sei galeazze comandate dal loro ideatore, Francesco Duodo.
Ma veniamo ai fatti, documentati e tratti dai vari archivi locali: del resto ampiamente descritti nel mio libro. Innanzitutto la battaglia ebbe inizio alle ore 12 ed ebbe termine dopo
quattro ore di durissimi scontri. Perciò il Papa non potè avere la visione a mezzogiorno, poiché in quell’ora le navi stavano arrancando le une contro le altre. Piuttosto è vero quanto ho scritto: “Narra il Catena che il Santo Pontefice Pio V° “stando quel giorno 7 ottobre
del 1571 nelle ore pomeridiane con mons. Bartolomeo Pussotto tesoriere, col cardinale Cesis e più famigliari, improvvisamente appartatosi da loro, con gli occhi al cielo, pieno di giubilo, mostrando nei tratti dello scarno sembiante l’ espressione del supremo lume, rivolto al tesoriere disse: ” E’ vero, piuttosto, che la Signoria Veneziana ordinò che ogni anno, in
occasione delle ricorrenza, alle ore 17 venissero suonate le campane della chiesa la cui cappella venne dedicata alla battaglia, poi trasformata in cappella del Rosario, ai Santi Giovanni e Paolo e dell’allora chiesa di S. Giustina, giorno dedicato alla Santa.
Il discorso sulla vittoria è invece molto meno retorico e più realistico. Innanzitutto Sebastiano Venier ebbe lo spunto di genio di far modificare le “palmette” sulle prue delle galee togliendo l’ “arrembata”. Bisogna qui accennare su com’era fatta la prua di una galea. Traggo sempre da altro mio libro sulla costruzione della galea: “Nello scafo così approntato e nudo, veniva fissato a prora, subito dietro lo sperone e prima del giogo che sosteneva il telaro, uno piccolo spazio di ponte, quasi triangolare, detto “Palmetta”, che serviva per le manovre di ormeggio e per dar fondo e issare le ancore.” … Dietro il giogo, dentro il telaro, c’era un piccolo spazio riservato agli uomini armati che dovevano sostenere lo scontro con gli avversari. Un tempo vi trovavano posto gli arcieri e i balestrieri, ma dopo l’introduzione delle armi da sparo vi trovarono posto le artiglierie. Esse consistevano al centro in un grosso cannone o colubrina da 50 libbre, detto di corsia, perché in navigazione veniva tirato indietro per non appesantire troppo la prua, quindi da quattro pezzi minori: due sangri da 12 e da due falconetti.
Dietro i cannoni, nel breve spazio restante, erano pronti gli archibugeri ed altri uomini d’arme, pronti a venire alle mani col nemico, non appena le artiglierie avessero cessato il fuoco, lo sperone si fosse affondato, artigliandolo, nello scafo della nave nemica e i rampineri avessero legato saldamente le due navi. Allora iniziava l’arrembaggio, e vinceva chi le dava più forte.”
Il Venier fece togliere la palmetta, affinchè la grossa colubrina di prua abbassasse la gittata del suo tiro e anziché colpire il ponte delle navi avversarie colpisse invece lo scafo portando un danno maggiore. Bisogna tener conto che la colubrina poteva sparare una sola volta e che il suo rinculo arrivava fino a metà nave, lasciando libero il campo per l’arrembaggio.
Ma l’arma segreta che scombussolò i piani dei Turchi e che ebbe una parte molto significativa nella battaglia furono le sei galeazze, ideate comandate e manovrate da Francesco Duodo.
Erano delle grosse galee bastarde da trasporto, modificate e corazzate e la novità consisteva di poter disporre di sangri, cannoni e colubrine da 20 in ogni lato della nave nel numero di trentadue, cosa che a quei tempi nessuno aveva.
Inoltre per poter avere sempre un lato della nave in posizione di tiro, le faceva ruotare su se stesse facendo vogare i rematori sui due lati in maniera opposta.
Questo sistema, oltre a portare moltissimo scompiglio nel’armata Turca, ne frenò l’impeto e ne distrusse buona parte. Ma non solo i turchi si trovarono i cannoni puntati durante l’avvicinamento, ma anche ai lati e a puppa!
Inoltre avvicinandosi verso la navi veneziane sul corno sinistro si trovarono cannoneggiati negli scafi e non sui ponti. Una volta stroncato l’impeto e il fanatismo dei turchi, i veneziani ebbero la meglio dopo aspri combattimenti durante i quali fecero cozzare parte della flotta avversaria negli scogli delle Curzolari.
L’eroismo dei veneziani e la determinazione del loro comandante SebastianoVenier – che, alla sua non più tenera età, salto sulla nave di don Giovanni per salvargli la vita – e le nuove tecniche da loro adottate furono le sole e vere vincitrici della più grande battaglia navale di tutti i tempi. E senza scomodare interventi più o meno Divini. Il Molmenti così narra nella sua storia: il Venier, intento più alla battaglia che alla preda, dovette dichiarare che "di tanta vittoria ho guadagnato ducati cinquecentocinque, lire due, soldi sei; alcuni coltelli, una filza di coralli et doi negri, non buoni a pena da vogare in mezo di una gondola, et se quelli la serenità vostra li vuole, sono a sua richiesta, non havendo tanto di entrata che mi faccia dieci mesi et ho molto intaccato mio genero per questo capitaneato ".
Ed al Senatore che gli chiese cosa avesse guadagnato la Repubblica, vista la scarsità del bottino, rispose: “a noantri ne xè restà tuto l’onor!”
Gigio Zanon