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Le Acli di Trieste e dell’Istria in un libro (Il Piccolo 15 giu)

di CORRADO BELCI

È proprio vero che dentro la storia ci sono tante persone, tanti fatti, tanta passione, che poi le sintesi dei grandi libri pretendono di cancellare. Ma c’è anche chi recupera – con pieno merito – quella che, impropriamente, è considerata la storia minore, che poi “minore” non è affatto.

È il caso di Diego D’Amelio, un giovane ricercatore nativo di Anzio ed approdato a Trieste, al quale si deve una ricostruzione storica delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) di Trieste del ventennio 1945-1966 davvero preziosa. ”Progettare il futuro. Le Acli di Trieste e dell’Istria 1945-1966” il titolo del volume, che è stato pubblicato dall’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia (pagg. 270, euro 18).

È una ricerca condotta con grande rigore documentale, integrato da preziose interviste con una serie di protagonisti di quegli anni. «La ricerca presentata in questo volume – scrive D’Amelio nell’introduzione – vuole fornire un contributo all’approfondimento della storia del movimento cattolico triestino nel secolo che si è da poco concluso. Si tratta di vicende spesso ancora da scrivere che meritano però la piena attenzione della storiografia per l’importanza che rivestono nella ricostruzione del dopoguerra del capoluogo giuliano e poiché questa strada ancora scarsamente battuta costituisce una indubbia e rilevante opportunità di indagine».

La preziosità parte dalla foto di copertina. L’immagine ritrae monsignor Edoardo Marzari (uno dei protagonisti del volume, quale fondatore delle Acli di Trieste) che si intrattiene con un giovane Mariano Rumor, allora dirigente nazionale delle Acli nazionali, mentre alle spalle dei due si intravvede l’alta figura di Nereo Stopper, anch’egli aclista.

L’opera di D’Amelio inquadra la vicenda delle Acli di Trieste nel duplice panorama della storia locale e della storia nazionale del dopoguerra.

La storia locale – come ben si sa – è stata condizionata, dal 1945 al 1954, dalla lotta per l’appartenenza di Trieste all’Italia. La fase successiva riguarda invece l’impegno di “essere Italia”, ciascuno nel proprio ambito, partecipe diretto delle vicende italiane come impegno da vivere all’interno della nuova Italia.

Così D’Amelio percorre l’itinerario dalla fondazione in poi, facendoci incontrare Edoardo Marzari, “deus ex machina” della presenza cristiana nella realtà civile di Trieste, con la sua straordinaria capacità creativa, il suo carattere imperioso e vivacemente accentratore.

E il passaggio, finalmente, in mani laiche con la presidenza di Ludovico Zanetti, “uomo di Marzari”, ma con lui alla fine in conflitto per le sovrapposizioni organizzative e patrimoniali (lo storico Palazzo Vivante) tra Acli e Opera Figli del Popolo.

Ma tant’è, in quella fase le Acli di Trieste lottavano sul fronte esposto dei lavoratori per fronteggiare la parte (cospicua) rappresentata dai comunisti e schierata prima pro Jugoslavia, poi pro Territorio Libero. Si trattava di avere una quota significativa di operai anche pro Italia.

Contemporaneamente si era aperto il fronte dell’esodo dall’Istria. Nell’ampio schieramento per l’assistenza ai profughi, le Acli si occupavano insieme di mensa e di formazione professionale per facilitare l’inserimento degli esuli nella vita cittadina.

Com’è noto, la vicenda triestina ha visto anche la situazione sindacale in una condizione anomala, senza l’esperienza unitaria dal momento che fin dall’estate del 1945 si contendevano il campo i Sindacati Unici (pro Jugoslavia) e i Sindacati Giuliani (pro Italia).

Dopo il 1954, anche le Acli di Trieste hanno puntato progressivamente ad assumere i connotati propri del “movimento” nelle altre province d’Italia. E poiché ogni “movimento” ha per programma quello di influenzare sia i partiti (nel caso in specie la Democrazia Cristiana) che i sindacati, si sono registrate inevitabili sovrapposizioni, contrasti e contraddizioni.

E tuttavia le Acli di Trieste si sono buttate nella nuova fase con l’entusiasmo di una vera e propria classe dirigente, guidata dal nuovo presidente, Luigi Masutto, anch’egli un discepolo di Marzari, ma ormai “formato”.

L’appoggio a una politica di centro-sinistra e l’attuazione della Regione a statuto speciale Friuli Venezia Giulia sono stati gli obiettivi della nuova dirigenza aclista, in una esperienza di crescente autonomia sia dalla Chiesa che dal partito della Dc.

Ma nel partito gli aclisti entravano come singoli. Dovevano influenzare secondo le esigenze dell’Associazione, ma anche rispettare le regole del Partito, il che non riusciva sempre facile ed era fonte di qualche frizione.

Tuttavia la stagione della nuova dirigenza Masutto ha recato un segno assai positivo per le Acli di Trieste. Dopo di lui, proiettato nella politica a livello regionale, avrebbe assunto la presidenza Ennio Antonini, la “mente economica” delle Acli (e poi anche della Dc), alla cui iniziativa – considerata “scissionista” dalla Camera del Lavoro – si deve la “normalizzazione” sindacale con la nascita della Cisl e la trasformazione in Uil della CdL. Nel dibattito tra chi sosteneva che anche nel resto d’Italia Cisl e Uil si sarebbero unificate e chi invece riteneva che anche Trieste doveva adottare quel dualismo, hanno avuto ragione questi ultimi.

Come che sia, le Acli triestine hanno segnato un bel pezzo di storia (assai più dei vent’anni oggetto dello studio di D’Amelio) della città: i nomi di Masutto, Stopper, Gasparo, Gallopin, Decarli, Antonini (dopo di lui alla presidenza arriverà Mario Paron) hanno significato un gruppo di guida capace di pilotare in positivo la base di lavoratori collocata sul confine sociale più difficile e impegnativo.

Se è vero che la storia viene scritta dalle élite di vertice, è anche vero che essa si nutre di una storia vera, spesso non scritta, vissuta da compagini di dirigenti indispensabili al progresso sociale.

È questo il merito della ricerca di D’Amelio, opportunamente intitolata “Progettare il futuro”, che ha permesso di valutare con completezza e oggettività un tratto di vera storia triestina che non è possibile ignorare.

 

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