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Lasciare Parenzo e tornarvi per trovarla Porec (larena.it 02 giu)

«Questa xe bandiera ‘taliana!» Il piglio del miliziano titino non dava spazio a molte repliche perché effettivamente Aulo Crisma, appena diplomato maestro a 19 anni, che sul pisspaiss, com’era chiamato in istriano il motopeschereccio, stava lasciando Parenzo nel maggio 1946 diretto a Trieste, ufficialmente per ragioni di studio, aveva effettivamente disegnato due rettangoli verde e rosso lasciando il bianco della pagina in mezzo, sul libro delle Satire e delle Epistole di Orazio. «Macché bandiera italiana, non vede che non c’è il bianco in mezzo?» Il sangue freddo del ragazzo e forse il rischio per il miliziano di essere buttato a mare dagli altri passeggeri, ha permesso al peschereccio di uscire dal porto. Era l’addio. Crisma non tornerà più a Parenzo: tornerà vent’anni dopo a Porec, cambiata non solo nel nome, come il suo cognome stava per cambiare in Crizmic.

 

Il libro Parenzo. Gente, luoghi, memoria, scritto dall’esule istriano Aulo Crisma — che è stato per molti anni insegnante elementare a Giazza e Selva di Progno, corrispondente per L’Arena dall’Alta Val d’Illasi e oggi vive, nonno felice, a Padova accanto ai figli e ai nipoti — è come un affresco storico, istantanee dei primi 19 anni di vita di Crisma, nato a Parenzo nel 1927, dodicesimo dei tredici figli di Pietro e Catina. In 150 pagine si sfogliano immagini di vita di una piccola comunità di antichissima origine, cresciuta attorno al decumano massimo dell’accampamento romano e diventata Strada Granda nella solida tradizione veneta che ha permeato la cittadina, dal medioevo all’occupazione titina del 1945.

 

Tutto si muove attorno a Strada Granda e porto: la vita di Parenzo è la vita dell’autore, che della città istriana conosce intimamente i luoghi del generare e del morire, sa di strade, angoli, botteghe, artigiani e pescatori, sa storie di vita e di fantasia, sa anche di estreme dimore, come nel finale malinconico del libro dove la tomba di famiglia è destinata a confluire nell’ossario comune: «Anche i morti diventeranno profughi, senza patria e senza nome», perché, scrive Crisma, «anch’io, tutte le volte che tornavo a Parenzo, provavo un penoso, profondo senso di smarrimento. Non percepivo più l’anima del paese natio». Il bisogno di raccontare la piccola patria perduta, di non permettere che la memoria andasse perduta per sempre, è alla base dello scritto di Aulo Crisma, che si legge d’un fiato, come ascoltare il racconto d’avventura di un figlio che torna a casa da un pomeriggio di libertà.

 

Così erano stati quei primi vent’anni di vita a Parenzo, raccontati semestralmente dal 1970 sul periodico della Famiglia Parentina In Strada Granda e confluiti nel libro. Ritratti di personaggi che fin da bambino lo avevano colpito, di gente semplice, una galleria di sconosciuti che non hanno fatto la storia ma la cronaca di Parenzo. A partire da suo padre, figlio di un cuoco della marina austriaca che aveva meritato alla discendenza il soprannome di Cogheto. E a Piero Cogheto, agricoltore, era toccato per i suoi sentimenti italiani finire arruolato dall’esercito imperiale austriaco in Ungheria e Galizia, a combattere e ad arrendersi ai russi che lo portarono prigioniero in Siberia a lavorare in miniera fino all’arrivo della rivoluzione sovietica del 1917.

 

Una volta liberato, impiegò altri due anni, andando da un capo all’altro dell’ex impero zarista, prima di trovare la possibilità di imbarcarsi e arrivare a Brindisi. Con la stessa forza con cui racconta del padre, Aulo parla dei luoghi e delle altre persone di Parenzo, aprendo un album fotografico che vorresti non finisse mai, che passi veloce solo nelle pagine più tristi dell’occupazione titina e delle foibe (con almeno 94 vittime parentine). Ma anche qui, pur senza negare storia e responsabilità, il racconto si fa tenue, scevro di vendetta e di rivalsa: «Per noi giovani l’abbandono della nostra bella Parenzo, non più nostra e non più bella», scrive Crisma, «ha spalancato nuovi panorami e offerto avventurose prospettive di una vita nuova e per questo più interessante. Certamente per mia mamma e per mia nonna Tonina, “stramassera” di novant’anni, e per tutti quelli avanti in età, lasciare la propria casa era una pena indescrivibile». Il libro, pubblicato dall’assessorato alle politiche educative del Comune di Venezia, nell’ambito del progetto «Itinerari educativi», è stato distribuito agli allievi degli istituti superiori veneziani nel Giorno del Ricordo.

 

Vittorio Zambaldo 

www.larena.it 2 giugno 2012

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