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La Voce del Popolo – 290607 – Quell’italiano in disuso

Nonostante il Capodistriano si trovi in una posizione geografica "privilegiata" rispetto ad altre aree dell’insediamento storico della Comunità Nazionale Italiana, a poche decine di chilometri dall’Italia, il territorio medesimo, paradossalmente, non è immune dai problemi, anzi, ve ne sono a iosa. Malgrado i diritti presenti sulla carta, dobbiamo essere onesti e rammentare che molte cose non vanno. I problemi, però, non devono venir ricercati solo all’esterno. È inutile consolarci dicendo che le istituzioni del territorio sono poco sensibili nei confronti della minoranza. Certo, la lingua italiana viene spesso e volentieri "dimenticata" e accantonata, al contempo, però, sarebbe doveroso che anche noi facessimo qualche riflessione sui perché la nostra lingua non gode di ottima salute. Non voglio insistere sul retaggio storico, perché rifugiarsi nel passato non avrebbe molto senso. Rammento solo che la nostra zona nel secondo dopoguerra perse il 90 per cento circa della popolazione italiana, un dato, questo, che non deve essere trascurato. La comunità rimasta, immersa in un contesto alterato, sia etnico sia linguistico, riscontrò non poche difficoltà, che si riflessero sul debole corpo minoritario.
Ho letto con vivo interesse l’estratto, e successivamente il testo integrale, con le riflessioni di Stella Defranza, mia, quasi, coetanea. Benché Fiume rappresenti una dimensione completamente diversa da quella del Capodistriano, posso dire che vi sono non poche difficoltà comuni. Il sottoscritto a casa parla l’istro – veneto perciò non è insensibile alla situazione in cui versa la componente italiana, e, a differenza di altri, non ha mai considerato un handicap il fatto di essere di madrelingua italiana, poiché tale idioma è qui di casa (senza nulla togliere alle altre lingue).
Se vogliamo che la lingua di Dante, o meglio il nostro vernacolo non scompaia – questo è l’elemento che contraddistingue il nostro essere – ci vorrebbe più consapevolezza da parte nostra ed avere una maggiore sensibilità nei confronti della (nostra?) lingua. Nei giorni scorsi, in una trasmissione di TV Capodistria, qualcuno si è chiesto come mai è possibile asserire che il calo degli appartenenti alla CNI in Slovenia – e, aggiungerei, il depauperamento della lingua italiana – sia dovuto ai matrimoni misti, quando è noto che quest’ultimi sono una caratteristica storica della regione.
Certo, è vero, se andiamo ad osservare gli intrecci familiari riscontriamo proprio questo, però è doveroso sottolineare che la società era completamente diversa, ed i matrimoni misti di oggi non hanno le corrispondenze di un tempo. Lo scrivo per esperienza diretta. Anche la mia famiglia è "mista", ma a casa mio nonno e mia nonna hanno sempre parlato in dialetto istro – veneto, anche con i figli, e mia mamma, che a casa ha sempre parlato l’italiano, ha continuato a comunicare in tale idioma con mio padre e con i figli. È un caso sui generis, dirà qualcuno? No! E’ un tipico esempio – oggi sempre meno frequente – di famiglia istriana, anche questa, purtroppo, quasi in via di estinzione. Il matrimonio misto come lo intendiamo oggi, cioè per lo più con un membro "estraneo" al territorio, è un fenomeno dell’ultimo mezzo secolo. Poiché le persone sono meno ottuse della politica, e l’amore, grazie al cielo, non richiede il certificato di appartenenza etnica, si sono formate famiglie eterogenee.
La differenza più marcata è che nei contesti precedenti – fino a non pochi lustri fa – esistevano degli equilibri all’interno di questi nuclei familiari, e la lingua italiana si è conservata e tramandata, nonostante uno dei partner fosse sloveno, croato, serbo, o altro. La cosa che non capisco – forse perché provengo da quell’ambiente sui generis? – è il motivo per cui alcuni connazionali – e non pochi – escludono di parlare la propria lingua con i figli. A volte queste persone hanno addirittura dei ruoli all’interno delle istituzioni della CNI, o comunque lavorano nelle istituzioni della minoranza, ma la cosa non cambia. È vero che ognuno è libero di prendere le decisioni che vuole, ma è piuttosto incongruente adoperarsi per il bene della componente italiana e poi comportarsi diversamente. Tutto questo non giova a nessuno; insomma si predica bene e si razzola male! Per me è ipocrisia bella e buona. E poi perché molti giovani si ostinano a non parlare l’italiano? Si vuole nascondere qualcosa? Oppure ci troviamo davanti ad una assimilazione vera e propria? Se con una persona ho sempre parlato in italiano, e dopo qualche tempo che non ci siamo visti la stessa mi si rivolge in sloveno, cosa è cambiato nel frattempo? Quanti sono i genitori degli ultimi anni che con i loro figli si esprimono in italiano? Sono rimasto meravigliato quando a casa di alcuni connazionali del Piranese ho udito una mamma parlare in dialetto istro – veneto con i propri genitori, mentre con il figlio si rivolgeva esclusivamente in sloveno, e, nota bene, quel ragazzino comunicava perfettamente in vernacolo con i nonni ed i bisnonni. Allora cosa sta accadendo? Dove stiamo andando? Io conosco una mamma che ha deciso di parlare esclusivamente in italiano con la propria figlia e spesso riscontra stupore, meraviglia, da parte di coloro che le chiedono in quale lingua comunica con la bambina. Gradirei molto leggere un intervento da coloro che conoscono molto meglio il problema. Le mie riflessioni non vogliono essere provocazioni, ma solo un modesto invito a riflettere.
P.S. Non molto tempo fa sul lungomare di Isola ho visto due giovanissimi genitori connazionali, con il loro bambino/ bambina nella carrozzina, che tra di loro parlavano in italiano: allora ci sono ancora speranze che la nostra lingua si tramandi e venga usata. Come si è fatto per secoli!

Kristjan Knez

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