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La Voce del Popolo – 180407 – L’amore per il mare a Trieste

TRIESTE – Si è svolta nei giorni scorsi negli edifici della Facoltà di Storia dell’Università giuliana, la seduta conclusiva del seminario di studi organizzato dal Dipartimento di Italianistica, Linguistica, Comunicazione e Spettacolo dal titolo “Itinerari Adriatici, dai portolani ai reportages”. La tavola rotonda si è snodata attraverso percorsi storici, memorialistica di viaggi, racconti d’altri tempi, uso delle parole e del linguaggio da parte dei diversi autori che sono stati chiamati in causa, così da riuscire ad analizzare fino in fondo gli aspetti prosaico-poetici della scrittura dell’Adriatico orientale. La manifestazione è stata introdotta da Elvio Guagnini, professore nonché membro del Comitato organizzativo, il quale ha specificato “quanto lungo è il lavoro che sta dietro alla conclusione di questo incontro. Ci sono dietro mesi di studio, di ricerche e di contatti giornalieri con le persone intervenute nella creazione di questa tavola rotonda dal sapore veramente adriatico”.

Riscoprire i luoghi e la gente

La prolusione dell’incontro è stata affidata a Paolo Rumiz, un giornalista che dopo esser stato uno degli inviati più in vista nell’ultima guerra nell’ex Jugoslavia con i suoi innumerevoli reportage, ha fatto del racconto di viaggio la sua quotidiana rappresentazione del mondo. “Il viaggio non è sempre meta, vacanza, relax – ha detto l’inviato di Repubblica –, ma anche e soprattutto riscoperta dei luoghi, della gente, ed alle volte di se stessi, dei rapporti con i nostri cari. Ricordo sempre con piacere quando anni fa, durante un’estate, fu mio figlio Michele a suggerirmi di fare un viaggio. E lui volle farlo assieme in bicicletta verso la pianura Pannonica, passando l’altipiano carsico, vivendo in quel magnifico saliscendi sloveno, per arrivare in prossimità dei monti e della catena alpina e di seguito cominciare a scendere verso Vienna, il centro imperiale più incredibile che la società abbia mai partorito, un sogno lungo secoli”. Nei confronti dell’Adriatico Paolo Rumiz ha voluto più volte sottolineare, nelle sue opere, (ricordiamo Vento di Terra, ndr) il suo attaccamento alla costa orientale, dalla penisola istriana agli infiniti arcipelaghi dalmati e quarnerini, mettendo tutto assieme in un pregevolissimo lavoro, uscito a puntate su Repubblica, che aveva come sfondo Venezia e i Turchi, “Lepanto 7 ottobre 1571”, al largo dello stretto greco che conduce oggi a Corinto. Quel racconto così minuzioso faceva della costa adriatica la sua naturale colonna sonora. E Rumiz ha descritto con colorate aggettivazioni tutti gli elementi storici, paesaggistici, sociali di quel tratto di mare che, a bordo di una barca a vela, ha voluto ripercorrere per ricreare il viaggio da Venezia fino al luogo della battaglia di una galera armata.

L’Istria di Burton

Gli interventi tematici hanno poi preso il via con l’intervento del docente Renzo S. Crivelli, il quale ha parlato di Richard Burton, console inglese a Trieste durante il periodo ottocentesco, quando cominciarono a fiorire i consolati permanenti nelle città. “Burton parla dell’Istria come di una terra di rara bellezza, coi suoi villaggi imbiancati dalla pietra carsica; racconta delle immobili sagome dei paesi e di come la penisola sia un luogo da contrapporre a Trieste, anche dal punto di vista economico. Nel 1870, nel porto imperiale di Vienna, spende 45 sterline per due notti in una locanda e riflette sull’eccessività della spesa e su quanto avrebbe speso invece in Istria”. L’accento si sposta, di seguito, anche su qualche considerazione non particolarmente edificante di Burton: “Il console inglese parla non sempre bene, però, della penisola perché ad esempio giudica alcuni paesi con l’anglosassone volontà di vedere tutto attraverso l’ordine e l’equilibrio. È il caso di Fianona quando la definisce un ‘orribile covo di pirati e di contrabbandieri’ e di molte altre cittadine costiere”.
Tutte le opere di Burton sono “assolutamente rivolte ad un pubblico inglese che ha, già all’epoca, la possibilità di sentir raccontate le bellezze di questa costa – ha detto ancora Crivelli –. È forse, attraverso questi dati e informazioni che poco hanno a che vedere con missive consolari, che il pubblico anglosassone di fine Ottocento si appassiona a questa terra e soprattutto – ha concluso –, a questo mare”.

La magia della Dalmazia

Il professor Helmut Meter del Dipartimento di Antichistica dell’Università di Bari, subito dopo, ha dato un’interessante rilettura di quello straordinario lavoro, sempre ottocentesco, di Hermann Bahr, dal titolo “Viaggio in Dalmazia”. “L’opera in questione fa parte della cosiddetta letteratura di viaggio. Bahr parla della Dalmazia come di paesaggi che, dopo le prime esperienze, si sono impossessati del suo essere. Infatti, non è una rappresentazione circostanziale dei luoghi perché talvolta è descrizione fatta quasi in anticipo. L’autore parla del suo amore verso quella terra quando dice ‘non vedo l’ora di passare le ore sotto i mandorli in fiore, osservare le agavi che si contorcono al soffiare del vento, di vedere il mare sfavillante. Le mie mani si riempiono d’impazienza’”.
“Parla di Spalato con una gratitudine dell’anima, viene sospinto a perdersi tra i vicoli della città da una vicinanza emotiva che non è condizionata da niente e da nessuno. La relazione del suo viaggio ha però molte sfaccettature. Non è solamente scrittura di prospettiva, non è neanche rivisitazione morale poiché si serve di una cornice di sfondo per arrivare alla presentazione di un saggio culturale”, ha chiarito il professore carinziano. “In tanti si sono voluti soffermare sull’interpretazione del ‘Viaggio in Dalmazia’. Molte sono le riletture storiche delle prosa che Hermann Bahr regala al suo pubblico. Una di queste è sicuramente quella che riflette una sua precisa volontà che desidera fermamente il cambiamento di atteggiamento della politica viennese nei confronti degli abitanti della Dalmazia. Pensa che sarebbe molto più utile concedere maggiori autonomie economiche alle popolazioni slave. Parla dei nascenti nazionalismi come dell’‘inevitabile conseguenza di una politica viennese stupida’. Ha con lo slavo la stessa propensione della letteratura anglosassone verso il buon selvaggio, e questo riflette il suo pensiero per cui l’unica vocazione dell’Austria in quel periodo devono essere i Balcani; ed è proprio per questo che, alle volte, si pensa al ‘Viaggio in Dalmazia’ come alla spinta intellettuale all’annessione della Bosnia del 1908”. In conclusione il professor Meter ha proposto una rilettura del pensiero di Bahr dicendo che “l’autore parla della mancanza viennese verso i popoli slavi perché è convinto che questo ceppo linguistico sia quello più adatto per vocazione ad assorbire la cultura e l’indole tedesca. Ed alla fine l’importanza di questo pasticcio culturale e politico risiede nella presentazione alla società di un mondo appetibile, di un mondo dalle mille potenzialità, e capace di regalare sogni ogni qualvolta lo si guardi”.

La fantasia di Morovich

Francesco De Nicola dell’Università di Genova ha chiamato, invece, in causa “L’Adriatico” di Enrico Morovich, illustre scrittore, poeta, intellettuale fiumano. “La prima analisi che mi è venuta in mente è quella sui racconti moroviciani degli anni ‘30. Tutto è sempre incentrato attorno a paesaggi di mare che lui poche volte inquadra geograficamente e a storie di giovani ragazzi fiumani. Alle volte dipinge gli sfondi dei suoi romanzi con punte di storicità molto ben descritte anche se mai ha voluto fregiarsi del ruolo di cronista. Non era bene morire, il romanzo che esce sul giornale a puntate nel 1936, è ambientato ad Abbazia, la cittadina balneare nei pressi di Fiume e vede sempre i giovani, questa volta borghesi, le loro storie d’amore, la loro vocazione per il mare”.
“Il mare è l’elemento che in Morovich riflette la sua impressionante capacità descrittiva. In ‘Piccoli amanti’ riesce a parlare minuziosamente del traghetto che collegava Fiume con Abbazia e ci dà un immagine perduta nel tempo. Ed è solo qui, in ‘Piccoli amanti’, che il tema del viaggio è reale perché negli altri lavori la sua è un’ambientazione che spesso sfiora i limiti della visionarietà, del misticismo come in ‘La caricatura’ del 1962. Nel 1980 ritorna alla prosa breve con quel miracolo letterario dal titolo ‘I giganti marini’ che segna il suo ritorno, per buona parte dell’opera, al reale per poi concludere con quella enorme propensione alla fantasia, ai colori, all’inventare”.
De Nicola ha chiuso il suo intervento osservando che “la fine della carriera di Morovich si conclude con l’aspetto memorialistico della sua produzione con due grandi lavori come ‘Racconti di Fiume’ e ‘Un italiano di Fiume’. Qui, già vecchio, l’autore si affida al ricordo e alle sue memorie, come la costruzione del porto di Fiume, gli emigranti e la figura del padre”.
Osvaldo Ramous è stato affidato alla prof.ssa Gianna Mazzieri Sanković di Fiume la quale ha spiegato alcuni importanti elementi degli scritti dell’artista fiumano. “Solo ultimamente le sue opere sono state rivalutate – ha rilevato –. Sono stati riconsiderati il suo lavoro come drammaturgo e la sua infinita ed invidiabile produzione culturale. Il suo più importante lavoro è ‘Il cavallo di cartapesta’, del 1969, ma il suo curriculum vanta opere eccezionali come ‘Raccontare Fiume’, ‘Una piccola baia’, ‘E vivo il mare’. Opere di rara bellezza poetica – ha spiegato la prof.ssa Mazzieri Sanković – che bene esprimono l’inconfondibile legame con il mare Adriatico, che attraverso le parole di un grande autore, bene sintetizzano l’amore della nostra gente verso quell’immenso blu”.

Nicolò Giraldi
 

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