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La Voce del Popolo – 010607 – I visignanesi esuli tornano a casa per un giorno

"Per prima cosa andiamo in chiesa, poi in cimitero, poi a vedere le nostre case. Ogni volta si fa così." Nel cimitero di Visignano, dinanzi alla lapide che ricorda il presidente Mario Fabretti, con un tono discorsivo che non può occultare del tutto il travaglio che, sia pur in modo diverso, ha segnato tanta gente istriana, Vito Rusalem sintetizza così il senso e il percorso del "viaggio di ritorno" compiuto due volte l'anno dalla Comunità di Visignano in esilio, che stavolta si è ripresentata con una nutrita comitiva: oltre un'ottantina di persone.
La domenica di Pentecoste il rito si è così ripetuto, a solennizzare in una cornice consona ai tempi una festa che fin dai tempi biblici, anche per gli ebre costituiva un'occasione per gioiose riunioni sociali, tanto da farli affluire in massa a Gerusalemme. Primo momento dell'incontro la messa celebrata nella chiesa dei santi protettori Quirico e Giuditta da don Geremia Massa, il parroco napoletano di Sbandati, accompagnata dal coro "Arpa" che ha intonato "Nome dolcissimo" e quindi i possenti "O signore dal tetto natio" e "Va pensiero". Poi i saluti e gli abbracci all'aperto, su quella piazza che termina con la splendida vista sui colli digradanti verso il mare, sotto le colonne della chiesa sormontate da quell'Occhio di Dio altrimenti raramente rinvenibile in Istria. Subito dopo, il raccoglimento al cimitero, da poco allargato e arricchito dalla targa a ricordo di chi è partito.
Dal pubblico al privato: non serve che alcuno lo dica, per tutti vale l'Andemo veder le nostre case, ossia si da corpo al pellegrinaggio, raccolto e privato, agli edifici in cui la maggior parte dei presenti è nata ed ha trascorso la parte più gioiosa della vita.
"Si viveva, bene o male, si campava di giorno in giorno, senza dubbio in povertà ma con tanta dignità", si sente da un gruppetto raccolto intorno all'entrata di una delle tante case su cui gli anni hanno infierito senza pietà, ma che continua a trasmettere a chi vi è tornato un messaggio che pochi altri, forse nessuno, è in grado di recepire. Più avanti, un'altra anziana ricorda che da giovane "viveva in Saline (una parte dell'odierno centro n.d.r.) e quando erano anni di tremenda siccità si aiutava anche dividendo la scarsa acqua a disposizione".
Infine, a suggello di ogni festa che si conviene, il pranzo conviviale in uno spirito di serenità e gioia, nell'attesa del prossimo incontro.
Presidente dei visignanesi sparsi per il mondo è Angelo Turrin, farmacista a Genova, classe 1928. Ricordando che fine dell'associazione è "non dimenticare le nostre origini, la nostra provenienza, il luogo d'origine", ritiene altrettanto necessario e possibilmente adoperarsi "non si dirà per un ripristino della situazione precedente ma per avere maggiori possibilità di essere presenti in Istria, anche con la proprietà", ossia non solo ai raduni, che da diverso tempo si ripetono due volte l'anno. "In un mondo in cui tanto si parla di unione, di comprensione, si dovrebbe ricucire anche nei nostri confronti quell'armonia che una volta esisteva in Istria fra le due etnie." Quanti sono i visignanesi che hanno lasciato il luogo natale? Per Turrin circa il novanta per cento, in concomitanza con il susseguirsi dei drammatici eventi. Il grosso se n'è andato in seguito alle opzioni, c'è chi è partito ancor prima del trattato di pace, ma le prime partenze sono avvenute nel settembre del '43, in seguito ai fatti delle foibe. Si chiede il riconoscimento delle vittime di quegli eventi, di cui ancora oggi nulla si sa. Sarebbe opportuno anche un impegno delle CI istriane in questo senso. Oltre all'encomiabile impegno per il recupero dei cimiteri sarebbe opportuna una ricerca, per dare una degna sepoltura a queste vittime degli eventi, molte senza alcuna colpa.
Fra le vittime, in larga prevalenza di antica origine del borgo, figura anche Dionisio Buchich. Il figlio Bertino, segretario della Comunità, che vive a Trieste, fra l'altro è autore di un libro sulla storia del paese. Sul finire della guerra, all'avvento del nuovo potere, il genitore venne fermato e poi rilasciato. Prelevato da casa una seconda, volta non vi fece più ritorno.
Preso doverosamente atto della situazione, Giuliana Zelco, la cui famiglia fu una delle prime a lasciare Visignano, e oggi ben nota non solo fra i compaesani (fra l'altro autrice di Vento di terra perduta, Una vita sdoppiata, Lontani segreti e, ultimamente, di Parole per l'eternità, un libro sulle epigrafi cimiteriali istriane) ricorda che, insieme ad altri, negli anni scorsi si è data da fare per valorizzare quanto resta ancora della componente italiana. Purtroppo a suo avviso, stanno invecchiando tanto gli esuli che i rimasti, per cui non nutre troppe speranze per il futuro di un processo che pian piano si sta affievolendo.
Esprimendo la sua soddisfazione per un incontro che è sempre motivo di gioia per i rimasti,

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