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La Padania – 160507 – Foibe, la storia oscurata torna a riemergere

Andrea Rognoni

“La storia occultata” è il titolo del convegno, svoltosi sabato scorso a Milano, nel quale si è cercato di inquadrare, il tragico fenomeno all'interno della logica simbolica (e per certi aspetti psicanalitica) che caratterizza le scelte delle grandi dittature del Novecento. Non è infatti la marginalità numerica (tutta da verificare, visto che molti son stati i cadaveri definitivamente mangiati, e non più riesumati, dalle cavità carsiche del triestino e dell'Istria) a rendere meno grave la scelta di violenza perpetrata tra '43 e '45 nel territorio giulianodalmata da parte dei partigiani slavi e delle nuove autorità jugoslave.

LE LOGICHE DELLO STERMINIO

I quattro elementi naturali di base, come ci hanno insegnato i filosofi medievali, rispondono al nome di acqua, aria, terra e fuoco. Le soluzioni di sterminio adottate dalle realtà totalitarie del ventesimo secolo sembrano appartenere alla dimensione del fuoco e dell'aria per il socialismo nazionalista e della terra e dell'acqua per il socialismo internazionalista. Nei lager infatti forni e camere a gas la facevano da padrone (ma si pensi anche agi incendi praticati da nazisti e fascisti a fini intimidatori), col traguardo di eliminare gli indesiderati. L'allegoria criminale è quella della riduzione a cenere della vittima da una parte (si ricordi anche che la cremazione è rituale per eccellenza pagano e sarebbe pleonastico sottolineare che nonostante la patina cristiana di compromesso il nazionalsocialismo rimane nei suoi fondamenti esoterici e ideogenetici una cultura di esaltazione delle forze primigenie in chiave idolatrica) e della traduzione del corpo in plastica depersonalizzata dall'altra, in un certo senso pura nullità aerea come nebbia o vento; il tutto ovviamente all'insegna di quella logica dell'annullamento dell'individuo nella natura e nella materia indifferenziata che presiede alla matrice ineludibile di materialismo (antistorico a destra, storico a sinistra) su cui si fonda l'ideologia politica del socialismo. Nei gulag, la progressiva depersonalizzazione passava come nei lager attraverso il lento deperimento da iperlavoro e scarsa alimentazione ma si concretizzava in termini di annientamento definitivo lungo i binari dell'universo idrico e terragno. Al fuoco nazista si contrapponeva il ghiaccio, fattore che la faceva da padrone nei campi posti nella freddissima Siberia nordorientale, sia come fattore di congelamento degli arti che come mezzo di tortura e eliminazione (si parla di vittime calate nei laghi ghiacciati vivi o morti praticando dei fori nello strato superficiale di ghiaccio); ma un ruolo decisivo veniva giocato anche dall'elemento "terra" perchè molti internati nei gulag venivano sottoposti a massacranti lavori di miniera e lasciati definitivamente morire nel sottosuolo senza sepoltura reale. E' all'interno di questa logica simbolica del crimine, caratterizzata da una volontà di ibernazione distruttiva dell'individuo come sua riduzione a pietra, sia essa venata d'acqua o priva di liquido, che vanno catalogate le foibe come soluzione finale, viste appunto come canale di scomparsa nel sottosuolo, ritorno alla Madre Terra, fatta di roccia e acqua sotterranea. L'individuo non deve più esistere come tale, tanto che nel socialismo reale, alias comunismo, la società degli uguali intesa come massa fisica, di natura puramente biologica, supera l'esistenza dei singoli, mentre i morti vanno ad alimentare la Materia come stato di esistenza antispirituale, lontana da qualsiasi forma religiosa di aldilà. Va notato un processo degenerativo rispetto all'ugualitarismo di due secoli prima, perchè almeno la ghigliottina permetteva di mostrare il corpo decapitato, qui invece, lungo una prospettiva di occultamento tipica del totalitarismo novecentesco (si pensi anche ai Bunker nazisti), il corpo deve essere nascosto a tutti costi; così italiani, veneti o ustascia massacrati o lasciati morire nelle foibe non sono in realtà mai esistiti se non come fantasmi usciti provvisoriamente, aborti, dalla gleba.

LA PURGA STALINIANA

C'è poi tutta la prassi di ispirazione staliniana della "purga" nei confronti dei nemici (in tal senso andranno meglio riviste le modalità dei processi da parte di partigiani, pretitini e titini ai danni dei presunti traditori della patria slava) e non manca quel gusto quasi ludico del nascondimento ( si pensi a tutti i nemici del popolo internati negli ospedali psichiatrici in Europa orientale) che, attraverso la scelta di caricare di notte i predestinati sui camion della morte, arriva alla soluzione a forte tonalità psicopatogica di non lasciare in vista quasi nessun cadavere ma occultarlo in modo tale che non venga mai più trovato: è la stessa logica del criminale comune che va a nascondere l'arma del delitto o il corpo della vittima fatta a pezzettini, ma con in più la perfidia indotta dall'ideologia collettiva, calcolata, calcolatissima (molto più calcolata di quanto si voglia fa credere parlando di jacquerie contadina – vedi i libri di Gianni Oliva – spontanea e confusa) che, come è tipico di tutte le società a base totalitaria, riesce quasi miracolosamente a tradurre un disturbo personale in un vizio collettivo, giustificato a priori, ma, nel caso delle foibe, visto come mezzo di purificazione rispetto al male del nazionalismo opposto (se l'Istria è naturaliter slava allora chi parla italiano o dialetto istroveneto non è mai esistito e non deve esistere neppure come morto). Gli psicanalisti sanno che tali sintomi sono tipici di una grave regressione a livello infantile. Il bambino nega di aver commesso il misfatto o si dimentica, procedendo lungo un asse di impianto schizoide. La rimozione psichica riguarda certamente l'intero processo evolutivo del comunismo nel mondo, tanto che gli attuali partiti comunisti del mondo occidentale ed europeo continuano a non ricordare, parlano sempre di lager colla giornata della memoria (27 gennaio), non aderiscono, se non marginalmente, alla giornata del ricordo (10 febbraio). Può sembrare pignoleria da linguista ma il campo semantico della parola memoria, nella lingua italiana, è diverso da quello segnalato dal lessema "ricordo". La memoria memorizza, cioè opera appunto una selezione mentale di tutto quello che è accaduto, mentre lo sforzo di ricordare ci permette letteralmente di ricollegare al cuore, riattivare il cuore, ed il cuore va al di là delle idee e delle ideologie, tutto comprende e fa tornare attuale, anche quello che foibe e storia hanno occultato.

MEMORIA E RICORDO

Il titolo del convegno svoltosi a Milano (“La storia occultata”) sottolinea il fatto che già nel progetto di sterminio del popolo istriano e giuliano c'era la precisa determinazione di impedire che la storia ricordasse, cioè in altre parole si voleva da parte dei carnefici che la storia occultasse, mantenesse nascosto per sempre quanto stava accadendo. E questo si è realizzato perchè per anni nessuno ci ha più parlato di foibe. Ma attenzione, ora, nel riaccostarsi alla verità, proprio perchè l'oggetto è particolare di per sè, quasi sospeso nel vuoto della cavità carsica, non è possibile disvelarlo tutto d'un colpo ma occorre cercare a poco a poco di recuperarlo nella sua intima realtà, per una sorta di nemesi simmetrica, costringendo cioè chi ha voluto o coperto l'occultamento a subire la tortura della lentezza, dell'inesorabilità progressiva, della tensione orrifica a cui furono sottoposte le stesse povere vittime, tra le quali non dimentichiamolo, molte ragazze seviziate, a conferma dello sfondo sessuale delle turbe psicanalitihe dei torturatori. È quanto ha capito nella sua lungimiranza l'unico grande scrittore in lingua italiana ad avere prodotto un vero e proprio romanzo sulle foibe istriane, il friulano Carlo Sgorlon. Egli, tra fine anni 80 e inizio 90, sincronicamente al crollo del comunismo in tutto il mondo, si è impegnato nella scrittura di quello che, per certi versi (assieme a "Il trono di legno" ), rimane il suo capolavoro, La foiba grande (Mondadori), adottando un sistema di forte suspence, basato sul progressivo avvicinamento all'obiettivo, partendo da lontano, colla peste di inizio evo moderno in Istria per arrivare ai protagonisti del ventesimo secolo dipinti nella loro vita quotidiana. Il paese di Umizza, presso il fiordo di Leme, si avvicina alla scoperta dell'orrore a poco a poco, attraverso le varie traversie della seconda guerra mondiale, dal presunto armistizio all'occupazione tedesca, dalla guerra partigiana attuata dagli slavi col cosiddetto "ribalton", alla scomparsa delle persone istrovenete dal paese e dai paesi circonvicini. La foiba grande non viene mai mostrata nella sua mostruosità di corpi imploranti o tumefatti ma diventa a poco a poco oggetto di consapevolezza della comunità, come se dagli strati più profondi del sottosuolo stesso, quelli "rasomare", si fosse mentalmente e lentamemte risaliti fino alla base della foiba. I protagonisti, in particolare il cinquantenne scultore Benedetto Polo, è costretto alla fine alla fuga via mare, come molti suoi compaesani, nonostante abbia giurato a se stesso di restare nella sua terra nonostante tutto, convinto com'è che l'unica vera patria degli istriani non sia l'Italia, Vienna o la Jugoslavia ma l'Istria appunto, nazione orbata e proibita, saccheggiata e devitalizzata, ma pur sempre piccola vera nazione. Polo sarà salvato paradossalmente da un suo sosia, Milan Bencovich, portato via dai foibisti al suo posto; tematica interessantissima perchè ci riconduce più latamente alla simbologia sacra dell'Istria come terra gemellare, in cui cioè idioma italoveneto e lingua istroslava convivono, seppur in termini di genesi fratricida (la mitologia ci insegna da sempre che la convivenza tra gemelli risulta alquanto travagliata), in un singolare impasto che può comunque dar vita ad un'entità autonoma. L'implicito concetto di riferimento, dietro le mirabili righe de "La foiba grande" (magistrale lo stile sgorloniano, asciutto e fendente come una roccia spigolosa del Carso) è quello della penisola istriana come grande Foiba, in senso geopolitico e metaforico: per troppo tempo è stata occultata, nascosta sotterrata, facendola passare per schiava di elmi o stelle; in essa, come in una foiba prima del genocidio, è stato nascosto di tutto, utilizzandola in funzione di spazzatura dell'intera Europa, marca di frontiera da vendere in immagine di terra d'odio e crudeltà; in senso etimologico come “fovea”, cioè Fossa geografica dalla forma ad imbuto e risacca interna con l'imboccatura tra golfo di Trieste e sorgenti del fiume Reka. Ora è arrivato il momento di rivisitare il ruolo europeo del "Litorale Adriatico" (sulle porte d'ingresso delle cui città campeggiano ancora tanti leoni di San Marco), partendo dalla querelle foibistica: la sua valenza storico-culturale, la sua marca identitaria, la sua autonomia vanno riscoperte e rilanciate non più sul piano turistico (beffarda rivolta contro i corpi occultati han suonato in tal senso i diffusi campi di nudisti) ma su quello del'essenza nazionalitaria, dopo le ubriacature nazionalistiche imposte in passato da Roma e da Belgrado, ed adesso, seppur in forma apparentemente più "democratica", da Zagabria e Lubiana.

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