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La lettera del Presidente Anvgd Ballarin al Direttore de “Il Tempo”, Gian Marco Chiocci – 17gen14

 

Egregio Direttore

L’intervista di Achille Occhetto è il segno di un mutato atteggiamento da parte di chi – intellettualmente onesto – intenda rileggere il ‘900 nei suoi aspetti di drammaticità non inscrivibili nella ristretta cornice degli opposti schieramenti ideologici.
Gli schieramenti ideologici nazifascista e comunista si sono combattuti senza esclusione di colpi; tuttavia, non tutto è ideologia, come, parimenti, non tutto è politica. Le lacrime versate da personalità di diversi schieramenti ideologici ed estrazione culturale, come l’ultimo segretario del Pci e uno dei volti storici della televisione, Pippo Baudo, la dice lunga sul significato simbolico e reale dello spettacolo di Cristicchi.
Su tutto il resto – incluse le baruffe chiozzotte molto provinciali e di retroguardia sul reale possesso da parte di Cristicchi della tessera Anpi –, le chiacchiere stanno a zero. Sia perché Cristicchi sa difendersi perfettamente da sé, sia perché chi, anziché guardare la luna, si limita a contemplare il dito che la indica, merita quest’ultimo: il dito.
Cercare – e trovare – un modo per parlare apertamente, da uomini liberi, del dramma delle foibe e degli esuli istriani, giuliani e dalmati è un passo avanti nella ricerca di una comune identità nazionale, al di là delle chiusure settarie ed ideologiche. Un nuovo metodo per un “oggetto” che, fino ad oggi, è stato manipolato, feticizzato o strumentalizzato – anche da parte di chi avrebbe dovuto trattarlo con maggiore cura e attenzione -, ma raramente compreso nella sua articolazione e nei suoi risvolti umani e nazionali.
La questione degli esuli istriani, giuliani e dalmati è una questione nazionale a tutto tondo e riguarda l’ethos e il pathos di una Nazione che voglia, anche oggi, dirsi e tradursi in Comunità, dunque in realtà capace di inglobare le differenze, senza perdere la tensione ad un’unità non omologatrice ed omologante. Cristicchi ha avuto il merito di rendere arte e linguaggio teatrale, musicale e scenico, questo sguardo; ed Occhetto ha il merito di aver colto questo passaggio con umanità e finezza intellettuale.
“Ogni fatto umano, raccontato nella sua tensione reale, è destinato a commuovere”, osserva Occhetto: questo giudizio vale ogni fatica fin qui sostenuta per ancorare la vicenda tragica delle foibe e l’esodo del popolo istriano e giuliano-dalmata al presente, per poi lanciarlo verso il futuro. “Spettacolo perfetto”, ha commentato Baudo, che di spettacoli si intende. Non solo: “Uno spettacolo perfetto che serve anche a far conoscere questa parte di storia alle giovani generazioni”. Molti si riempiono la bocca della realtà dei “ggiovani”, considerati svantaggiati, anche culturalmente, ma nessuno fa niente di concreto ed efficace per aiutarli a riprendere in mano la loro vita attraverso la corretta ed equilibrata lettura della storia, “maestra di vita”.
Questo è realmente un servizio alla verità ed a quella generatività comune che una Nazione che voglia farsi Comunità non può non accogliere nel suo specifico Dna.
“Eppur si muove”, potremmo dunque dire, oggi, dopo le parole di Occhetto e quelle di altri dotati di trasparente onestà intellettuale.
Se l’arte riesce a riprodurre la eco di quelle pietre che “parlano italiano”, rendendo questo movimento una tensione comune, realizza la sua missione di levatrice della storia. E chiunque nella storia abbia combattuto, per una causa nella quale credeva – pur con tutti i limiti e perfino le contraddizioni immanenti a quella realtà – non può che farsi promotore di una nuova coscienza storica, traducendo, infine, la vecchia e dura lingua ideologica del ‘900 nel dolce Italiano, frutto di millenni di stratificazioni e intriso anche di venezianità.
Alla fine – di fronte alla storia e al futuro – chi ha più filo, tesserà.

 

Antonio Ballarin

 

Roma, 16 gennaio 2014

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