Il silenzio dei profughi può durare una vita. È accaduto a Mariagioia Chersi, nata a Parenzo nel 1942. Un po’ per paura, un po’ per vergogna, non ha mai parlato di suo padre e dello zio, uccisi e gettati nella foiba di Vines, vicino ad Albona in Istria. «Mio papà era Giusto Chersi, nato a Parenzo nel 1902 – racconta la signora Mariagioia, esule a Udine –; la nostra era una famiglia di panettieri. Poco dopo l’8 settembre 1943 fu prelevato dai partigiani titini, assieme a suo fratello Mario, e non li abbiamo più visti». Secondo alcuni storici, i partigiani attuarono così delle vendette per pulizia etnica e per le violenze subite sotto il fascismo. Giusto e Mario furono imprigionati dai partigiani in divisa? «A parte che in famiglia si parlava poco di quei fatti dolorosi – continua la testimonianza –, ma non si è mai detto che fossero in divisa, con la stella rossa sulla bustina, anzi erano due di Parenzo, parlavano italiano, uno di loro era il Bernich». Il 16 ottobre 1943, dopo l’occupazione nazista, Arnaldo Harzarich, maresciallo dei pompieri di Pola, assieme alle autorità riesumò alcune salme dalla foiba dei colombi, nei pressi di Vines. Il secondo cadavere portato alla luce fu riconosciuto dal direttore delle miniere carbonifere dell’Arsa per Mario Chersi, fu Andrea, come sta scritto nel verbale per i servizi segreti angloamericani del luglio 1945, corredato da varie fotografie del fotografo Sivilotti, di Pola.
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