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La denuncia di Amnesty: oltre 14 mila «missing» nei Balcani (La Stampa 29 ago)

Vite perdute. Nella giornata internazionale degli scomparsi, che ricorre domani, Amnesty ricorda alla distratta opinione pubblica internazionale i danni collaterali ancora in atto delle ormai dimenticate guerre balcaniche, uno dei capitoli più bui e più rimossi della storia europea recente. “Oltre 14.000 persone – denuncia nel suo rapporto odierno – mancano all’appello nei Paesi dell’ex Jugoslavia, quasi la metà del totale degli scomparsi nel decennio di guerre iniziato nel 1991”. In quegli anni terribili nei Balcani, arrestate o catturate in vario modo, scomparvero 34.700 persone, vittime di vendette incrociate, giustizia sommaria o episodi oscuri di “pulizia etnica”. Le famiglie spesso attendono ancora giustizia per i loro cari. O almeno notizie certe. Da parte dei governi, però, solo silenzio.

 

Un silenzio che riunisce di nuovo idealmente la disgregata Jugoslavia in un’omertà condivisa. Il rapporto di Amnesty International descrive casi di sparizione forzata in Croazia, Bosnia ed Erzegovina, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia e Kosovo. E, sottolinea, tutti e sei i governi di questi Paesi sono venuti meno all’obbligo legale internazionale di indagare e punire questi reati: “L’assenza di indagini e processi per le sparizioni forzate e i rapimenti resta un problema grave in tutti i Balcani. Il principale ostacolo al contrasto dell’impunità e alla consegna degli autori alla giustizia è la costante mancanza di volontà politica in tutti e sei i Paesi”. Per la verità alcuni responsabili, troppo pochi e molto in ritardo, sono infine, faticosamente approdati al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Un ente spesso diviso e farraginoso, il cui mandato è tra l’atro prossimo alla fine. I tribunali nazionali agiscono con una lentezza che finisce per vanificare ogni speranza.

 

È un dolore che affratella, o almeno dovrebbe, nazioni che oggi si scrutano con diffidenza o odio appena sopito e che riguarda davvero tutti: “Le vittime delle sparizioni forzate nei Paesi dell’ex Jugoslavia – chiarisce Jezerca Tigani, vicedirettrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International – appartengono a tutti i gruppi etnici. Sono civili e soldati, donne e uomini, bambine e bambini. Le loro famiglie hanno il diritto di sapere la verità sulle circostanze della loro scomparsa, sul loro destino e sullo svolgimento e l’esito delle indagini. Per loro, il primo passo verso la giustizia è vedersi restituiti i corpi dei loro cari per la sepoltura. I governi devono assicurare che le vittime e le loro famiglie abbiano accesso alla giustizia e ricevano, senza ulteriori ritardi, un’adeguata e concreta riparazione per il danno che hanno subito”. Sarebbe un modo per iniziare a chiudere un capitolo doloroso della storia recente ma per ora è solo una speranza sempre più vana, una protesta silenziosa coltivata da poche irriducibili madri. “Se solo sapessi dove si trova mio figlio Albion, se solo potessi dargli sepoltura e portare un fiore sulla sua tomba, mi sentirei meglio”, dice Nesrete Kummova, che ha visto per l’ultima volta suo figlio nel 1999 quando fu, probabilmente, trasportato dal Kosovo in Serbia e lì sepolto”.

 

Ma ogni Paese ha le sue vittime insepolte, il rapporto entra nel dettaglio: Delle 6406 persone scomparse nella guerra del 1991-1995 in Croazia, solo di 4084 è stato possibile stabilire la sorte. Oltre 2300, 1735 delle quali di passaporto croato, risultano ancora scomparse. Nell’ultimo biennio è stata chiarita la situazione di soli 215 scomparsi. Oltre 900 resti umani devono essere ancora identificati.

 

Su una popolazione di tre milioni e 400mila abitanti, alla fine del conflitto della Bosnia ed Erzegovina erano scomparse 30 mila persone. La sorte di almeno 10.500 di loro, in larga parte musulmani bosniaci, resta ignota anche se purtroppo intuibile. Le famiglie di oltre 7000 persone, deliberatamente e arbitrariamente uccise nel genocidio di Srebrenica del 1995, sono ancora in attesa di giustizia e riparazione. Molti dei presunti responsabili vivono fianco a fianco con le loro vittime e i familiari di queste ultime.

 

Per un decennio, dalla fine del conflitto del 2001 tra le forze di sicurezza macedoni e l’Esercito albanese di liberazione nazionale, le autorità non hanno indagato in modo efficace sulle sparizioni forzate. Resta un mistero il destino di almeno sei albanesi arrestati dalla polizia alle dipendenze del ministero dell’Interno macedone. I familiari degli scomparsi hanno fatto ricorso contro una legge del parlamento della Macedonia del 2011 che, estendendo le norme della legge d’amnistia del 2002, ha posto fine alle indagini su quattro casi di crimini di guerra trasmessi dal Tribunale penale per l’ex Jugoslavia. Tra questi, la sparizione di 12 macedoni e un bulgaro, presumibilmente a opera dell’Esercito albanese di liberazione nazionale.

 

Nel maggio 1992, 83 civili bosniaci in fuga dal conflitto della Bosnia ed Erzegovina, vennero arrestati in Montenegro e respinti alla frontiera per essere poi consegnati alle forze serbo bosniache. Si ritiene che 21 di loro siano stati uccisi in un campo di prigionia della Republika Srpska. La sorte di almeno altri 34 detenuti rimane sconosciuta. Nel marzo 2011, nove ex pubblici ufficiali sono stati prosciolti dall’accusa di crimini di guerra per la sparizione forzata dei profughi bosniaci, sul presupposto che nel 1992 non c’era alcun conflitto armato in Montenegro. Il verdetto è stato annullato in appello quest’anno e il processo è stato riaperto. Durante la guerra del Kosovo del 1998-99 e nel periodo immediatamente successivo, si registrarono 3600 scomparsi, oltre 3000 dei quali albanesi vittime di sparizione forzata a opera della polizia, dell’esercito e dei gruppi paramilitari serbi; la restante parte degli scomparsi, appartenente alle minoranze, soprattutto serba e rom, si presume sia stata catturata dai gruppi armati albanesi, tra cui l’Esercito di liberazione del Kosovo. Le famiglie di almeno 1797 scomparsi kossovari e serbi aspettano ancora che i corpi dei loro cari siano esumati, identificati e restituiti per la sepoltura.

 

Carla Reschia

“La Stampa” 29 agosto 2012

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