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La Belgrado filoeuropea (Il Piccolo 09 lug)

di Tito Favaretto

La Serbia ha un nuovo governo. Quasi due mesi di trattative dopo il voto hanno portato a una alleanza di governo forse sorprendente ma non del tutto imprevedibile tra i democratici e una coalizione che comprende i socialisti. Socialisti già guidati da Milosevic. Per comprendere questi sviluppi è necessario ricordare le caratteristiche del recente confronto elettorale e i risultati emersi dalle urne. La precedente coalizione di governo era entrata in crisi sui rapporti con l’Unione Europea(UE). Dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo e il suo riconoscimento da parte della maggior parte dei paesi dell’UE, il primo ministro Vojislav Kostunica aveva manifestato la sua contrarietà alla firma di un accordo europeo di stabilizzazione e associazione (ASA) temendo che comportasse una rinuncia alla sovranità sul Kosovo. I democratici (la maggior parte del governo) e il Presidente della repubblica Boris Tadic (leader dei democratici) avevano sostenuto invece che, ferma restando la rivendicazione di sovranità sul Kosovo, non esisteva tale pericolo e la Serbia non poteva correre il rischio dell’isolamento autoescludendosi dal processo europeo di integrazione. I risultati elettorali pur premiando la coalizione dei democratici “Per una Serbia europea” con 102 seggi su un totale di 250, restavano ambigui perché altre formazioni vicine a questa coalizione (20 seggi) non consentivano di raggiungere la maggioranza. Sul fronte opposto, il partito di Kostunica e quello radicale nazionalista, alleati contro i democratici, potevano contare rispettivamente su 30 e 78 seggi. Decisivo per la formazione di un governo risultava il partito socialista di Serbia, alleato con il partito dei pensionati e Serbia unita (20 seggi). Questa alleanza non aveva assunto un atteggiamento negativo sul problema dell’integrazione europea, ma, per la sua storia, era assimilabile al differenziato schieramento dei nazionalisti.
Il risultato del voto aveva ancora una volta evidenziato l’esistenza di una pur lieve maggioranza legata, per ideali, interessi, tradizioni, a una visione del passato, condivisa ancora da più generazioni. Inoltre, quasi il 40% degli aventi diritto non aveva partecipato al voto, denunciando una situazione di forte scetticismo nei confronti della politica.
Le discussioni sono quindi iniziate tra le formazioni apparentemente più simili, con un primo accordo per il governo della città di Belgrado. Tuttavia, fin dall’inizio, parti della coalizione socialista (soprattutto Serbia unita) avevano più volte reso esplicito che avrebbero partecipato a un governo solo se esso avesse assicurato la ratifica in Parlamento dell’accordo con l’UE. Kostunica però ribadiva il suo rifiuto su questo punto e il rapporto con i socialisti diveniva difficile. Iniziava allora il dialogo dei socialisti con i democratici che approdava al recente accordo di governo. Su questa scelta sembra abbiano influito forti pressioni internazionali (USA, UE), ma anche interne: dal problema dell’apertura all’Europa posto come condizione da parte di alcuni dei membri della coalizione socialista e dagli stessi giovani socialisti, all’influenza di capitalisti serbi interessati all’apertura agli investimenti esteri. Comunque sia, il formarsi di un nuovo governo in cui accanto alla presenza dei democratici eredi di Djindjic (Primo ministro democratico assassinato) vi è quella degli eredi di Milosevic, ha indubbiamente modificato il panorama politico serbo e non mancano, per i socialisti, le accuse di trasformismo e di affarismo e, per i democratici, quelle di rinuncia agli ideali della rivoluzione del 5 ottobre 2000 contro Milosevic. In realtà l’ipotesi alternativa di un governo nazionalista, con un ulteriore isolamento della Serbia, in un momento in cui dal Montenegro alla Bosnia Erzegovina, tutti i paesi dei Balcani occidentali stanno entrando in un processo europeo di integrazione, ha fatto valutare a più ambienti, interessi, rischi e responsabilità.
Estremo pragmatismo politico o prima opportunità di riconciliazione? L’interrogativo sembra avere, per ora, una relativa importanza, nella situazione della Serbia, purché l’azione di questo governo consenta di recuperare i ritardi di sviluppo del paese. Possono esistere, invece, alcuni interrogativi sulla stabilità futura della nuova alleanza che vede la presenza di una decina di partiti. Punti cruciali potranno riguardare la politica economica e sociale; i futuri rapporti con il Tribunale dell’Aia (ministero degli interni e polizia andranno ai socialisti); e, ferma restando la rivendicazione della sovranità sul Kosovo, il problema dei rapporti con una minoranza serba incerta e localmente divisa.
Comincia comunque una fase nuova nella difficile transizione della Serbia e nel suo avvicinamento all’Europa e questa è già una buona notizia.

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