L’8 Settembre iniziò il distacco dell’Istria, di Fiume e di Zara dall’Italia

08.09.2025 – Lo sapevano gli inglesi e gli americani, che avevano firmato a Cassibile il 3 settembre 1943 con il plenipotenziario italiano l’armistizio con cui l’Italia usciva dalla Seconda guerra mondiale dopo mesi di trattative condotte attraverso le rispettive ambasciate nel neutrale Portogallo.

Lo sapevano i tedeschi, che ormai avevano capito che l’Italia, dopo aver deposto Benito Mussolini, aveva intensificato l’attività diplomatica per sfilarsi dal conflitto ed era perciò già pronto un piano per prendere il controllo della penisola e contenere l’avanzata anglo-americana.

Lo sapevano i partigiani comunisti jugoslavi, non solo perché ormai riconosciuti come forza combattente pure dagli anglo-americani, ma perché vedevano la sfiducia, lo scoramento e la stanchezza annichilire le truppe italiane di presidio sia nella Jugoslavia occupata sia in Istria e Dalmazia, che facevano parte del Regno d’Italia ma erano al centro di un progetto espansionistico.

Lo sapevano il Re Vittorio Emanuele III ed il capo del governo, il generale Pietro Badoglio. Quest’ultimo aveva iniziato a diffondere la notizia agli alti ranghi dell’esercito per attuare le condizioni armistiziali, ma le comunicazioni erano ambigue e si stava profilando l’equivoco sul momento in cui rendere pubblica quella che era a tutti gli effetti la resa incondizionata dell’Italia. Nell’autoconvincimento che la data fissata fosse quella del 12 settembre, l’annuncio della resa dell’Italia diffuso dal generale Eisenhower nel pomeriggio dell’8 settembre rappresentò un fulmine a ciel sereno. La sera stessa Badoglio alla radio non potè far altro che confermare la notizia, fornendo anche indicazioni operative alle truppe, indicazioni peraltro confuse e di pubblico dominio. Dopodichè la fuga notturna dei vertici dello Stato da Roma fino a Pescara e Ortona, raggiungendo Brindisi a bordo di una modesta corvetta, mentre una delle flotte più moderne e ancora in perfetto assetto da guerra andava a consegnarsi a Malta. Un comportamento così ambiguo e maldestro pare che abbia generato il neologismo inglese to badogliate.

La dissoluzione dell’esercito consentì ai tedeschi di prendere il controllo dell’Italia fronteggiando solamente sporadici episodi di resistenza spontanei e privi di coordinamento con i vertici della catena di comando, introvabili, scappati o fatti prigionieri. La popolazione disorientata era passata dalla convinzione che “la guerra è finita” alla consapevolezza che il consolidarsi delle truppe tedesche significava la prosecuzione delle ostilità, dei bombardamenti, dei lutti e delle sciagure che avrebbe comportato l’occupazione dell’ex alleato, incattivito dai recenti sviluppi.

Ancor più pesanti furono le ricadute nelle province del confine orientale, ove lo sbandamento militare creò un vuoto di potere di cui approfittarono i partigiani jugoslavi, che presero il controllo dell’Istria e della Dalmazia scatenando la prima ondata di stragi nelle foibe. I tedeschi occuparono le principali località della costa, temendo uno sbarco alleato, e ben presto avrebbero stroncato l’iniziativa partigiana in Dalmazia, che fu consegnata allo Stato Indipendente Croato eccetto l’enclave di Zara, che restava nelle dipendenze della neocostituita Repubblica Sociale Italiana di Mussolini.

Proclamata unilateralmente l’annessione dell’Istria alla nascitura Jugoslavia comunista, fatto bottino delle armi e dei vettovagliamenti abbandonati dalle truppe italiane disperse in un fuggi fuggi generale e non essendo ancora i tedeschi in grado di estendere il loro controllo sull’entroterra della penisola istriana, iniziò l’eliminazione di tutto ciò che rappresentava l’Italia sul territorio. Quella regione doveva entrare a far parte della Jugoslavia e quindi furono colpiti dalla repressione non solo gli ex fascisti ed i gerarchi che avevano oppresso e tentato di snazionalizzare le popolazioni slave durante il ventennio mussoliniano, ma pure i simboli di uno Stato che doveva sparire, anche se il duce era stato esautorato. Maestri e forze dell’ordine, funzionari comunali e dipendenti pubblici furono gli obiettivi di un’epurazione politica su cui si innestarono vendette personali e regolamenti di conti. Almeno 500 furono le vittime, alcuni stimano un migliaio.

Quel che è certo è che in quelle convulse giornate la parola foiba venne pronunciata con sempre più paura e preoccupazione: gli abissi carsici vennero utilizzati per eliminare le vittime, spesso precipitate nel vuoto ancora vive. Un successivo intervento tedesco avrebbe costretto i partigiani a ritirarsi, ma oltre ai morti questo mese di occupazione jugoslava aveva sancito il primo passo del distacco dell’Istria, di Fiume e di Zara dall’Italia verso l’annessione alla nascente dittatura di Tito.

La resa incondizionata significava che l’Italia aveva rinunciato alla sua sovranità ed affidava la sua esistenza alla clemenza di coloro i quali l’avevano sconfitta sul campo di battaglia. Una posizione di debolezza e di sottomissione che si sarebbe edulcorata con la formazione del Regno del Sud, con la costituzione del Corpo Italiano di Liberazione che combattè a fianco degli Alleati, con la resistenza passiva degli Internati Militari Italiani nei campi di concentramento nazisti e con la lotta partigiana, ma per quanto riguardava la ridefinizione del confine orientale l’Italia sarebbe rimasta in balia degli eventi fino al Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 che avrebbe sancito questa sconfitta militare con le pesanti cessioni territoriali alla Jugoslavia.

Lorenzo Salimbeni 

 

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