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Jovanka Broz e il viale del tramonto (Il Piccolo 07 ago)

E la moglie dell’ex presidente jugoslavo? Per lei la Storia ha riservato un destino crudele. Nessuna «Jovankanostalgia» sembra poterla riabilitare. Vive, o meglio, sopravvive tra le macerie della storia. Sola e abbandonata, dagli uomini e dal mondo. Jovanka Budisavljevic-Broz, la vedova del defunto maresciallo Tito non ce la fa più. «Mi trovo veramente in una situazione difficile – ha raccontato – non ho il riscaldamento, l’impianto elettrico si è guastato e l’acqua filtra dal tetto». Invero la casa sulla collina di Dedinje al 75 di boulevard Mira, il rione dei vip di Belgrado, che le è stata temporaneamente assegnata dal governo jugoslavo non ha un brutto aspetto vista dal di fuori. Ma all’interno è una desolazione.

L’umidità segna le pareti, fa freddo e lei con i suoi 84 anni e la sua pensioncina da ex ufficiale dell’esercito (ricoprì il grado di maggiore) più che vivere cerca di sopravvivere. «L’acqua ha distrutto tutto – ha spiegato rassegnata – da due anni oramai non ho più il riscaldamento e la corrente elettrica viene e va». «Ho chiesto aiuto da tutte le parti, ma nessuno mi ha ancora risposto. Sarebbe meglio che mi trasferissero, magari in un appartemento più piccolo, ma più dignitoso, l’ho fatto presente più volte, ma è stato il silenzio». Perché lei ha una sorta di «peccato originale» da scontare: è l’ultima icona vivente di un’epoca dannatamente scomoda oggi in quella che fu la Jugoslavia, la «sua» Jugoslavia, quella che condivise assieme all’illustre marito. Odiata dai serbi che non perdonano al defunto maresciallo di aver tenuto lo stivale dell’ideologia fortemente premuto sul loro capo da sempre proteso verso gli agognati lidi disegnati da un mai sopito nazionalismo, è stata ripudiata dalla terra natia croata (è nata nel villaggio di Pecani, nella Lika) che la considera, invece, l’ultimo totem del comunismo, storico avversario di quello spirito secessionista che ha condotto Zagabria all’indipendenza.

Il 4 maggio, come ogni anno, Jovanka, lo scialle nero sulle spalle e quella pettinatura così demodè, ma che fa tanto «ancien-regime» comunista, si è recata sulla tomba del marito dove ha deposto un mazzo di fiori. Sola, davanti a quella tomba, priva di onori. Qualche minuto passato in silenzio, una borsetta nera e consunta stretta tra le mani. Poi il rientro a casa, a ricordare i bei momenti in cui lei, era la regina della Jugoslavia. Amata e odiata, come tutti i monarchi. Lei che nelle stanze del potere di Belgrado veniva additata come «la puttana del presidente» – impietoso nomignolo affibiatole ai tempi in cui non era ancora sposata – e che al suo primo incontro Tito definì «troppo selvaggia» ha rimesso nel cassetto di una quotidianità crudele quei suoi modi alteri che la videro, ai tempi dorati del potere, silurare chiunque le fosse antipatico, non importa se generale o ministro. «Perché – era solita dire con malcelato disprezzo – i serbi hanno sempre trucidato i loro sovrani».

E stavolta tocca a lei morire nell’impietosa agonia dell’indifferenza. Un esempio? Jovanka ha mandato un assistente sociale a chiedere aiuto, ma all’ufficio comunale. Il timido funzionario si è sentito rispondere che «quelli non erano affari suoi». Eppure all’Ufficio statale della proprietà immobiliare sostengono che, venuti a conoscienza delle difficoltà in cui versa Jovanka (loro la chiamano «signora Broz»), le hanno più volte telefonato, ma lei non ha mai risposto. «Ci siamo rivolti anche ai vicini – spiegano – ma il risultato è stato lo stesso». «Vorremmo ripararle la casa – concludono un po’ pilatescamente – oppure trasferirla in un altro appartamento, ma se lei si nega…».

Nel 1977 Jovanka finisce agli arresti domicialiari con l’accusa di aver tramato un colpo di Stato dagli oscuri contorni filo-sovietici, assieme al generale Djoko Jovanic. Imbocca così quel viale del tramonto che la porta fino alla fatiscente casa di Dedinje. Qualcuno sostiene che sia stata anche in carcere a Spalato. C’è chi la paragona a Imelda Marcos. Ma poco si sa di quel fatidico 1977. «Riabilitata» da Tito in punto di morte conosce di nuovo gli arresti domiciliari subito dopo il faraonico funerale del maresciallo. Privata del passaporto da Milosevic lo riottiene con l’avvento di Kostunica al potere. Oggi non è più la regina. Ora è una strega. Lei resta in silenzio. Quel silenzio che non la fa rispondere al telefono, nè parlare con i vicini. È sola. E oramai dimenticata nel suo arrugginito esilio belgradese

Mario Manzin

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