ANVGD_cover-post-no-img

Istria, toccare con mano le radici (Voce del Popolo 01 ott)

TRIESTE – Un gruppo di ragazzi partecipanti allo stage che i Giuliani nel Mondo organizza ogni anno ha visitato nei giorni scorsi Pirano, Parenzo e Rovigno. La splendida iniziativa ha confermato la necessaria attivazione di dinamiche di questo genere. Storia, arte e cultura. Emozione e sentimenti. Ricordo ed un sorriso. Per capire da dove si viene, dove si era.

Valdibora, Rovigno, un lunedì di settembre. Il pullman che deve riportare verso Trieste i ragazzi protagonisti dell’undicesimo stage formativo organizzato dall’associazione Giuliani nel Mondo, sta scaldando il motore ed è pronto per partire. Miguel, un ragazzo argentino d’origine rovignese, sta scambiando le ultime chiacchiere con suo zio. Non si sono mai visti e l’immagine che si ha guardandoli è che vorrebbero entrambi restar lì ad intrecciare le loro storie, specchio e riflesso di quella unica grande vicenda che la nostra gente ha vissuto nel Novecento. Uno lontano dal mondo degli avi, l’altro nato e cresciuto sotto Santa Eufemia. L’andare ed il restare, l’emigrazione e l’esodo assieme al rimanere italiani, e soprattutto istriani.

Questi ragazzi di terza generazione sono nostri, gente come noi, vissuti sì in un altro Paese del mondo, ma che a casa dai nonni e alle volte anche dai loro padri, hanno sentito storie lontane, di paesi dai nomi strani, istriani, ma in italiano; italiani, ma in istriano. Che in fondo, sono la stessa cosa. Hanno un accento spesso latino e ancor di più anglosassone, ogni tanto escono dai loro ruoli d’oltreoceano e cominciano a parlare un idioma complesso, costruito negli anni e basato sull’esser giuliani, istriani, fiumani e dalmati. “C’è un pullman che da Trieste va a Valle?”, mi chiede un ragazzo che ha in mano la fotografia della casa dov’è nato suo nonno. “Quando arriviamo a Rovigno voglio mostrarti la casa di mia nonna…”, mi fa un ragazzo argentino. “È tanto lontana Grisignana da qui? La mia nonna mi ha detto che è vicino a Buie…”, mi chiede una ragazza anch’essa argentina.

La circolazione delle idee

Mi stupisce ogni minuto di più sentire come questi ragazzi siano così smaniosi di toccare con mano le loro origini, il loro passato e quello che se non fosse accaduto forse sarebbe stato diverso, sicuramente istriano in terra istriana. A Pirano ci arriviamo verso metà mattina e subito escono allo scoperto le macchine fotografiche. San Giorgio è immerso in una luce a dir poco accecante. Arriviamo in piazza Tartini e mi chiedono a cosa servano quei due pili all’entrata. E qui mi scontro con la realtà scolastica d’oltremare. Loro, un pilo di questo genere, moderno nel senso dell’epoca storica, non l’hanno mai visto, studiato ed ammirato. Quando gli spiego che Tartini sfidò il primo violinista di Londra suonando solo su di una corda allora in loro vedo che qualcosa si muove. Londra è mentalmente vicina, l’immaginare un qualcosa che si conosce è decisamente più semplice.

La casa veneziana ovviamente suscita un fascino particolare, gli dico che quando andranno a Venezia saranno invasi da balconi di questo genere. La presenza della Dominante è la storia da cui partire, da dove spiegargli il motivo per cui a casa loro sentono parlare dialetto istro-veneto. Il rapporto che la Serenissima ha con le città istriane, la circolazione delle idee, dell’arte, degli stili architettonici ed il significato dei toponimi è il primo passo verso il quale devono essere guidati.

Saliamo sul Duomo e lì mi confronto per la seconda volta con l’assenza del modello scolastico. Quando gli spiego che il campanile è del XVII.esimo secolo vedo nei loro occhi dei dubbi vertiginosi sul concetto di tempo, ma subito vogliosi di comprensione, di capire quello che è il mondo dove i loro avi sono nati.

Pirano scivola via così, una ragazza rovignese mi si avvicina e mi chiede se posso farle una foto sotto il cartello che indica dove siamo. “Perché così dopo mi ricordo dov’eravamo, ci fanno vedere un sacco di posti che tanti nomi faccio fatica a tenerli nella testa”, mi dice con innocenza.

Passiamo le saline di Sicciole e andiamo verso il Dragogna, confine d’Europa. Poi, dopo i controlli di genere, prendiamo l’autostrada che ci porta a Parenzo. Direzione la Basilica Eufrasiana, il modello per capire la visione integrata delle due sponde dell’adriatico nella storia. E prima di Venezia, che non è poco. Il mosaico, i pavimenti originali che sono di quasi millecinquecento anni fa, l’abside così dorato, ogni colonna costruita a modo suo, la spaventosa somiglianza con Sant’Apollinare in classe a Ravenna, fanno in modo che il messaggio passi, che arrivi nella loro personale conoscenza, perché è un dato di fatto, non è strumento per parlare bene o male bensì realtà di confronto, reale e non di propaganda. Solo storia di uomini e di idee che hanno circolato tra Pola ed il Polesine, tra Rovigno e Rovigo, tra Lesina e Lesina delle Puglie.

Gli italiani in Istria

È tardi e dobbiamo correre a Rovigno dove ci aspetta il direttore del Centro di Ricerche Storiche Giovanni Radossi. La più grande realtà culturale e scientifica degli italiani d’Istria è il pezzo mancante in questa giornata. Il confronto con la storia passa per di qua, nella visione di come siano considerati gli italiani in Istria e nell’unire gli andati ai rimasti in uno stesso popolo; cosa che forse le attuali generazioni possono fare meglio di quanto abbia fatto l’atavica dimensione che le tragedie ed i nazionalismi hanno portato come retaggio con sé, frantumando un’identità.

Purtroppo è già ora di tornare. Gli ultimi passi per la città e il pullman pronto a partire verso Trieste. Anche in questo viaggio, la comprensione di cosa sia Trieste per gli istriani diventa realtà e spiegazione involontaria di perché proprio Trieste come centro, come arrivo e come partenza. Per i rimasti, per gli esuli e per i giuliani nel mondo. Per tutto un popolo.

Vicino al pullman c’è il ragazzo rovignese con suo zio. Gli occhi girano a velocità impressionante, gli sguardi che questi due tasselli di Rovigno si lanciano sono pronti per rimettere in piedi e per farli rimanere diritti, alcuni tratti delle mura del castello. Si vede che l’emozione è forte per entrambi. Il nipote poggia la mano sulla spalla dello zio ad indicare un legame che la storia ha tenuto distante, alle volte assente, ma che ora ha tutta la voglia di trasformarsi in qualcosa di molto confidenziale, di affettuoso. “Per noi è stata dura rimaner qua in un clima socialista, la Jugoslavia non aveva intenzione di riconoscere che qualche italiano c’era ancora” ammette lo zio dando, con quegli occhi azzurri pieni di mare, un’occhiata verso Figarola.

Purtroppo il tempo è tiranno. Oggi le cose corrono veloci, tutto avviene in modo molto rapido e così anche l’incontro tra le storie di uno stesso mondo. Si abbracciano una prima volta, il nipote fa un buffetto allo zio che si confronta con l’entusiasmo ed un innocente sfrontatezza tipica dell’America Latina. Poi si riabbracciano, allo zio l’emozione gioca un butto scherzo, gli scende una lacrima e si allontana spalle al pullman. Torna alla sua vendemmia mentre il nipote si siede e sta un attimo in silenzio. Dall’alto del campanile, Santa Eufemia sospinta dal vento, fa una piroetta su sé stessa e sorride.

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.