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Istria: semplicemente terra da amare (Voce del Popolo 29 ott)

A volte un libro nasce grande, altre volte lo diventa soltanto in seguito, quando arriva il suo tempo. “Istria d’amore” di Ulderico Bernardi, è un “libro importante fin da ora, e forse lo sarà di più con il tempo”, intanto perché “non nega, non giudica, né condanna” ma “preferisce sottolineare e marcare”, poi perché “informa e invita a riflettere” e infine perché “insegna che abbiamo radici molto profonde” e che l’Istria è semplicemente una “terra da amare”. Il giudizio è di Anita Forlani, che ha presentato il libro e l’autore sabato sera a Palazzo Bradamante a Dignano. Perché leggerlo? Non bastasse quanto condensato di sopra, riprendiamo il filo del discorso della Forlani passo per passo. “Istria d’amore. Magico frammento d’Europa” riflette già nel titolo la duplice essenza di una cultura piccola finché si vuole (e ibrida senz’ombra di dubbio), ma aperta al mondo quanto basta per contribuire alla costruzione della “grande” cultura europea. Il libro interessa, coinvolge e appassiona sin dalle prime battute; trascina attraverso fatti, personaggi, epoche, pensieri; abbraccia l’”essere istriano” in tutte le sue sfaccettature; interseca storia, arte e letteratura a concetti e fatti naturalistici, geografici, toponomastici; nomina anche le località più riposte, le osterie meno probabili, le “stanzie” più insignificanti…

 

Abbiamo dunque a che fare con un libro maturo di un autore maturo che, non soltanto conosce e ama l’Istria, ma trasmette pure, diffonde e propaga l’amore che prova per questa terra. Per intenderci, la storia istriana c’è tutta, dalla Civiltà dei castellieri al modesto contributo istriano all’integrazione europea, ma non è un libro di storia. O perlomeno non è soltanto quello. Per l’abbondanza di nozioni, fa il figurone di un’enciclopedia; per l’accuratezza della trattazione, è un modello di prosa da copiare; per la profondità del pensiero, l’erudizione e il corredo di citazioni, è un gioiello di saggezza. Per la modestia e l’umiltà dell’autore, infine, è un’opera da amare e non soltanto da rispettare. “Grazie per la massima attenzione dedicata a questo mio piccolo libro” – ha detto Bernardi, già professore di Sociologia dei processi culturali all’Università Ca’ Foscari di Venezia, evidentemente a suo agio a Dignano dove, a suo avviso, “c’è ancora affinità per la cultura disinteressata: la cultura senza spettacolo, senza lustrini, senza bagliore”, semplice e chiara, essenziale. Un libro piccolo nelle dimensioni, ha chiarito l’autore, che tuttavia ha richiesto molte camminate, molta frequentazione di luoghi, di genti e di osterie (“perché a volte, sapete, e piuttosto spesso, tra l’altro, in osteria si apprende molto più che in un laboratorio universitario”) ma anche fior di studi e di letture…

 

Tra gli autori che riecheggiano nell’ultima fatica di Bernardi, c’è sempre Niccolò Tommaseo, “lucido e integerrimo”, che ci ha insegnato e dovrebbe continuare a farlo, evidentemente, che “il presupposto del conoscere è il ricordare”. E c’è sempre Fulvio Tomizza che “mi ha aperto gli occhi sull’identità istriana” mentre è andato puntualmente a cozzare contro le ottusità di tutti i tempi e di tutte le latitudini (un “rinnegato dell’italianità”, un “venduto alla croaticità” e stoltezze di questa e simili intonazioni), insegnando però, a maggior ragione, quale sia e quale valore abbia la “plurima identità istriana”. Le terre mischiate hanno questo vantaggio, osserva infatti Bernardi, di essere “feconde di stimoli culturali”. In quanto tali, costituiscono dei “laboratori di riflessione” e dei “progetti da curare”. Progetti che hanno bisogno di politici seri e idealisti che non si vergognino di esserlo, ma anche di comuni mortali seri e idealisti, capaci di apprezzare se stessi senza disprezzare gli altri. Capaci, cioè, ad “aprirsi agli altri pur rimanendo se stessi”, proprio come insegnava Abelardo otto secoli fa, come un faro nella notte: “Europa diversa non adversa”.

 

Daria Deghenghi

“la Voce del Popolo” 29 ottobre 2012

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