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Intervista alla polesana Anna Maria Mori (Il Piccolo 12 mag)

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

A sentirli parlare sono tutti dalla parte della famiglia. Politici, intellettuali, religiosi. Poi una donna trova un lavoro, pensa di fare un figlio e si ritrova con tutti gli occhi puntati addosso. La carriera va a farsi benedire, il part time è solo una sospirata chimera. Molto spesso arriva il licenziamento, sotto forma di ”dimissioni volontarie”. Dopo un pressing che manderebbe in tilt anche chi è dotato di nervi d’acciaio.

Essere madre, pensare di far nascere un figlio e voler lavorare, in Italia, è un impresa. Se la Francia dedica ogni anno alle famiglie il 12 per cento della spesa sociale, il nostro Paese non arriva al 4 per cento. E allora? Succede che le donne accantonato in fretta l’idea della maternità. O la vivono con angoscia, perché temono che il futuro assomiglierà a una salita ripidissima. Come racconta Anna Maria Mori nel suo nuovo libro ”Nove per due. L’ansia di diventare madre oggi”, che la casa editrice Marsilio distribuirà nelle librerie domani.

Originaria di Pola, per lunghi anni giornalista della ”Repubblica”, Anna Maria Mori ha firmato libri di successo come ”Ciao maschi”, ”Donne mie belle donne”, ”Bora” con Nelida Milani, ”Nata in Istria”. Questa volta si è fermata a riflettere, a raccontare perché l’Italia continui a sbandierare il proprio convinto sostegno alle famiglie, quando poi le donne, le mamme si trovano ad affrontare faticosissimi percorsi a ostacoli.

«Potrei dire che il libro è nato per caso – spiega Anna Maria Mori – anche se da un po’ di tempo stavo riflettendo sui problemi della maternità, sul ruolo delle donne. E poi in casa mi dicono che sono un po’ Cassandra. A volte, riesco a prevedere le cose».

In effetti è sempre più difficile essere mamme e lavoratrici, in Italia.

«Direi quasi impossibile. Le donne che restano incinta, che vogliono avere un figlio, vengono emarginate, criticate. Per non parlare di quando, poi, perdono addirittura il lavoro. Sembra che sia davvero inconcepibile avere figli e aspirare a fare carriera».

Eppure i politici, a destra come a sinistra, dicono di voler tutelare la famiglia. O no?

«Evidentemente hanno in testa un altro modello di famiglia. Dove, per esempio, la donna rinuncia al lavoro, alla carriera, per occuparsi soltanto della casa e dei figli. Intendiamoci: ho il massimo rispetto per chi decide di avere otto figli e di farli crescere con un solo stipendio a disposizione, quello del padre. Ma non credo sia giusto imporre questo modello a tutti».

Il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, dice di avere un sogno…

«Sì, quello di vedere un giorno le donne aiutate a essere madri e lavoratrici. Ma come un sogno? Siamo nel terzo millennio, tutto ciò dovrebbe già essersi avverato».

Ma perché le donne non si ribellano?

«Ecco, il punto è questo: non sono soltanto le donne a non ribellarsi. Io vedo una grande rassegnazione in tutta l’Italia. E devo dire purtroppo. Non mi sembra che nemmeno i giovani siano animati da grandi sogni. Del resto, lo si può capire facilmente. In questo momento pochi genitori sono in grado di far crescere i loro ragazzi trasmettendo gioia di vivere, ottimismo».

I dati parlano chiaro…

«In Italia una donna su otto abbandona l’impiego subito dopo la nascita del primo figlio. Il 29 per cento delle mamme lascia il lavoro al primo anno di vita del bambino. L’essere mamma, sul lavoro, è considerata quasi una colpa. Il 15 per cento delle lavoratrici è costretto a lasciare il posto a causa della maternità».

E le donne che hanno posti di responsabilità che dicono?

«C’è un sondaggio Eurochambres-Ue che fornisce dati sbalorditivi. Tra mille imprenditrici italiane, l’82 per cento pensa che la maternità può essere uno dei principali ostacoli al successo professionale. Insomma, l’Italia non è una società accogliente nei confronti delle donne e dei figli».

A differenza della Francia…

«Lì il discorso è totalmente diverso. Le donne non si sentono abbandonate, le famiglie neanche. Ci sono le strutture, gli asili. Insomma, una mamma può continuare a lavorare senza dover lasciare il bambino ai nonni o chissà dove. A questo proposito, ho scritto una lettera di protesta al ministro per le Pari opportunità».

Ha scritto a Mara Carfagna?

«Sì, perché trovo assolutamente pazzesco che cerchi di facilitare il rilascio di permessi di soggiorno a chi fa le badanti per gli anziani. E non pensi di estendere lo stesso provvedimento alle baby sitter. Ma come: sarebbe questo tutto l’aiuto che si vuole dare alle famiglie, alle donne che fanno figli?».

E poi si lamentano che la popolazione invecchia…

«Se ci sarà quella che chiamano ”recessione permanente da invecchiamento”, l’Italia sarà tra i primissimi candidati a pagarne le conseguenze. Il tasso di fertilità femminile, infatti, è pari a poco più dell’1,3 per cento per famiglia. Siamo ultimi nell’Europa Occidentale e tra gli ultimi all’interno dell’Unione Europea».

Ma il femminismo non è servito proprio a niente?

«Dati alla mano possiamo dire che sono quasi il doppio le ragazze che arrivano alla laurea. Ma poi, che succede? Che fanno una fatica tremenda a trovare un lavoro. E quando ci arrivano, iniziano i problemi. Le mamme tra i 30 e i 40 anni rappresentano l’86 per cento dei casi di discriminazione professionale. Che viene esercitata con il mobbing, i demansionamenti, lo svilimento della professionalità. E alla fine: licenziamenti. Presentati come dimissioni volontarie».

 

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