“Viver d’amore è navigare, ognora gioia spargendo e riso attorno a me”
Così diceva Egidio Bullesi e così è scritto alla base della sua statua.
Ottantasette anni fa, il 25 aprile, avveniva il suo transito e non può essere un caso che proprio oggi la nostra gente celebri San Marco.
Proprio entro queste ricorrenze è stato voluto ed organizzato con grande acume e lungimiranza, dai reverendi Frati Minori del santuario di Barbana, il Giubileo degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati.
San Marco, Egidio Bullesi, il Giubileo della Misericordia, cosa hanno a che fare con gli Esuli Giuliano-Dalmati? Qual è il nesso che dà senso e completezza al nostro stare qui, insieme, oggi?
Venendo a quest’evento ponevo una domanda a me stesso e cercavo una risposta che aprisse il cuore ed indicasse una via per tutta la nostra gente andando al di là delle banalità spesso inadeguate che si sentono dire circa misericordia, pace e giustizia.
Riflettendo, ho fatto mie le parole di Papa Francesco pronunciate il 6 gennaio 2016 ai ragazzi ed alle ragazze di Roma. Diceva il Papa: “Il Giubileo è un intero anno in cui ogni momento viene detto santo affinché diventi tutta santa la nostra esistenza […] Vi ripeto con tanta forza: «Rimanete saldi nel cammino della fede con la ferma speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro cammino! Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Credetemi: questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo coraggio! Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni. Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali!» (Omelia nella Giornata dei Cresimandi e Cresimati dell’Anno della Fede, 28 aprile 2013)”.
Ecco, gli Esuli Giuliano-Dalmati quando decisero di abbandonare terra, casa, beni ed affetti, fecero una scelta controcorrente inseguendo ideali di verità, giustizia e libertà, dando testimonianza del coraggio e dell’identità di un popolo, forte e devoto. Gli Esuli e le generazioni seguenti hanno scommesso su questi grandi ideali nella faticosa certezza che è sempre possibile amare la propria identità e, da quest’amore, ricostruire una vita e lavorare per una prospettiva.
Non è un caso che la stragrande maggioranza della nostra gente sia o sia stata, a tutti gli effetti, un esempio vivente delle parole pronunciate dal Papa il 6 gennaio scorso. Dalla nostra gente, infatti, dall’esperienza umana che connota ed ha segnato la nostra gente, da quel tessuto operaio, contadino, artigiano profondamente cattolico, non solo a parole ma proprio nei fatti e che definiva e definisce il nostro popolo (tant’è che siamo qui, ora), sono nati esempi come quello di Egidio Bullesi.
Il Venerabile Bullesi durante la prima guerra mondiale fu profugo, come tanta gente di fede italiana sotto l’Austria e fu trasferito a Rovigno, poi in Ungheria (Seghedino) e infine in Austria (Wagna e Graz). Tornato a Pola a 13 anni fu operaio nei cantieri navali. Fondò un gruppo di scout cattolici. Aderì al Terz’Ordine Francescano. Prestò servizio militare e fu marinaio di leva organizzando, in quell’ambito, un gruppo di riflessione e preghiera. Lavorò ai cantieri di Monfalcone ed in questa città operaia si dedicò con passione all’assistenza di famiglie povere ed emarginate, curando in particolare l’educazione di bambini e ragazzi analfabeti. Contrasse la tubercolosi a ventun’anni e mori due anni dopo a Pola.
Dunque, Bullesi fu: profugo, operaio, scout, soldato, marinaio, tecnico, paziente ed in tutto ciò che ha fatto recava allegria, passione, testimonianza di un amore di Cristo che si fa concretezza. Che si fa misericordia per il prossimo.
“Viver d’amore è navigare, ognora gioia spargendo e riso attorno a me”
Se Egidio Bullesi è diventato per grazia di Dio ciò che è stato, non vi è dubbio che ha avuto anche San Marco come santo patrono che lo guardava dall’alto. Il santo a cui la gente di Istria, Quarnaro e Dalmazia ha pregato e guardato per secoli come esempio di vita e protettore della propria identità, cioè del proprio io intimo, quello che a ciascuno di noi Dio dona.
Oggi, pertanto, gli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati celebrano quella Misericordia che è stata compagna fedele donata e ricevuta nella vita di una loro persona qui sepolta.
Noi sappiamo bene che questa misericordia, la misericordia che viene da Dio, non può essere intesa come un vuoto buonismo, come un esonero dai comandamenti di Dio. Non avrebbe senso. Ed infatti la misericordia di Cristo è inscindibile dalla sua giustizia, non può contraddirla. Altrimenti non avrebbe avuto senso nemmeno l’impegno di Bullesi verso l’umana indigenza.
Ma se, dunque, misericordia e giustizia sono intimamente connessi, noi, che siamo il risultato di ingiustizie disumane patite ancora adesso con la negazione di certi diritti fondamentali, oggi siamo qui per chiederla a gran voce proprio con un atto di misericordia.
San Giovanni Paolo II, il 1° gennaio 2002 alla XXXV Giornata Mondiale della Pace diceva in maniera inequivocabile: “Non c’è pace senza giustizia non c’è giustizia senza perdono”. Sempre nello stesso discorso viene chiarito che: “il perdono è innanzitutto una scelta personale, una opzione del cuore che va contro l’istinto spontaneo di ripagare il male col male […] Il perdono ha dunque una radice e una misura divine”.
Se noi oggi siamo qui è perché con quest’atto di misericordia celebrato questa mattina, abbiamo fatte nostre queste parole. In noi non albergano sentimenti di odio e di vendetta, la testimonianza offertaci dalla stessa nostra gente è orientata piuttosto a quella ‘con-passione’ insita negli animi di figure nobili come Egidio Bullesi.
Ed essendo qui, oggi, celebrando il Giubileo della Misericordia, chiediamo ancora a gran voce giustizia. Non importa se ciò che chiediamo non è di questo mondo o, peggio, non lo vuol essere per noi. Perché noi faremo come Papa Francesco ci ha indicato: “Giocate la vita per grandi ideali!”
Nel chiedere che alla misericordia segua in ugual misura la giustizia, oggi, gli Esuli Giuliano-Dalmati testimoniano con dignità e fierezza la propria memoria, incarnando con la loro stessa esistenza un esempio tangibile delle parole di Papa Francesco, un’esperienza concreta di cosa sia la misericordia da donare e da richiedere per la propria esistenza.
A conclusione di questa celebrazione desiderio ringraziare innanzitutto il Padre Guardiano Fra Stefano Gallinaro e tutti i Frati Minori del Santuario di Barbana per la loro intuizione nel suggerire ed accompagnare questa celebrazione.
Ringrazio l’Arcivescovo Oscar Rizzato, appositamente giunto da Roma – città dove sorge anche il Villaggio Giuliano-Dalmata che mi ha visto nascere – per aver dato sostanza a questo nostro gesto.
Ringrazio Lucia Bellaspiga per la sua meditazione.
Ringrazio i presidenti delle nostre Associazioni che hanno dato supporto ed aderito a questo evento e, dunque:
Manuele Braico, dell’Associazione delle Comunità Istriane ed il coro delle stessa Comunità,
Franco Luxardo, dell’AIDM-LCZE,
Renzo Codarin, dell’ANVGD,
Giuseppe de’ Vergottini e Davide Rossi di Coordinamento Adriatico,
Guido Brazzoduro, del LCFE,
Tullio Canevari, del LCPE,
Massimiliano Lacota, dell’Unione degli Istriani,
Dario Locchi, dei Giuliani nel Mondo,
Paolo Sardos Alberini, della Lega Nazionale,
Michele Pigliucci, del Comitato 10 Febbraio,
Franco Degrassi dell’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata,
Livio Dorigo, del Circolo di Cultura Istro-veneta Istria,
Aldo Sigovini, della Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone,
Maurizio Tremul dell’Unione Italiana,
il vero ‘motore’ di questo evento Walter Arzaretti,
il caro amico Rudi Ziberna dell’ANVGD che è stato tra i primi nelle nostre Associazioni a rispondere all’invito per questo importante gesto di grazia e che si è prestato molto per l’organizzazione.