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In alcuni ideali di Menia il germe degli odi del ‘900 (Il Piccolo 24 lug)

LETTERE

Ha mille ragioni l’on. Menia quando, nel suo intervento del 17 luglio, sottolinea che chiamare gli esuli «optanti» è chiaramente antistorico e non deve essere accettato. Se l’esodo avvenne, era per sfuggire al clima di terrore instaurato contro gli italiani in Istria. C’è però una parte della lettera dell’on. Menia che non condivido, quando parla di «valori, tradizioni, speranze, idealità» e «del suo rispetto sacrale della patria». È chiaro che la visione che l’on. Menia ha del nostro paese è estremamente idealizzata, ma è altrettanto chiaro che in alcuni di questi ideali ci sono tutti i germi delle tragedie del secolo scorso.

La situazione diventa però allucinante quando ci si rende conto che questo amore per la patria non è corrisposto, purtroppo è stato da sempre a senso unico. Da un lato per terrificante ignoranza: quando ero alla scuola allievi ufficiali per fare il mio dovere di leva i miei compagni di corso mi chiedevano perché io, triestino, non prestassi servizio militare in Jugoslavia… Dall’altro lato per «interesse». È di dominio pubblico il fatto che dopo il ’18 il porto di Trieste, con tutte le sue imponenti strutture, decisamente all’avanguardia, non fosse strategico agli interessi del paese. E la situazione si è ripetuta in maniera devastante alla fine della II Guerra mondiale, quando gli esuli furono abbandonati a se stessi. Che De Gasperi ed i politici dell’epoca non fossero riusciti a difendere i territori giuliani purtroppo si può capire. Le umiliazioni che i rappresentanti dell’Italia subirono alla conferenza di pace purtroppo si possono capire. Che però i treni che trasportavano gli esuli venissero presi a sassate nelle stazioni, e che gli esuli non venissero indennizzati dallo Stato italiano per i beni perduti, questo non si può capire. Nel trattato di pace, che l’Italia comunque sottoscrisse, i territori giuliani e i beni degli esuli vennero pretesi dalla Jugoslavia come indenizzo di guerra, e come tali le furono assegnati. Quindi doveva essere lo Stato italiano, il popolo italiano tutto, che scatenò la guerra di aggressione nei Balcani, a farsi carico dei beni perduti da una parte della sua popolazione. È un fatto di una chiarezza cristallina, ma nessuno ne parla. Per interesse.

Perché bisogna dimenticare. Ma questa è storia. L’Italia si era impegnata a risarcire gli esuli, ma tutti sanno come sono andate le cose. E chi parla lo fa per chiedere che siano le repubbliche eredi della Jugoslavia a indennizzare gli esuli!

Sono tra coloro che, dopo aver visto sparire uno dopo l’altro i confini degli Stati europei, hanno avuto l’immenso piacere di partecipare a Fernetti alla grande festa popolare in occasione dell’ingresso della Slovenia nell’Ue. È evidente che, dopo due secoli di guerre tremende, tutte figlie del nazionalismo, far sparire tutti i confini è banalmente e chiaramente l’unica soluzione possibile ed accettabile. Essendo nato a Trieste nel 1940, ed essendo anche la mia famiglia stata coinvolta, come tutti, nelle tragiche vicende della nostra regione, devo ammettere che non mi sarei mai aspettato di assistere, nel corso della mia vita, ad un simile evento. Togliere i confini non significa però chiudere gli occhi e dimenticare il passato. Al contrario, la storia deve restare, e ogni sforzo deve essere messo in atto perché sia condivisa, e perché sia conosciuta. E sarebbe ora che anche i nostri compatrioti si rendessero conto che hanno un debito gigantesco con la popolazione giuliana.

Franco Bradamante
(Docente presso il Dipartimento di Fisica dell'Università di Trieste ndr)

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