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Il Risorgimento dimenticato (Il Piccolo 06 ago)

di GILBERTO MURARO

La celebrazione dei 150 anni di unità nazionale si preannuncia svogliata: prova ne sia che Ciampi, chiamato a presiedere il Comitato per i festeggiamenti del 2011, ha minacciato le dimissioni. È in effetti un programma singolare, per non dire altro, visto che si sostanzia in lavori pubblici ben poco legati agli eventi da ricordare e che, mentre prevede opere a Isernia e Imperia, quasi ignora il ruolo nell’unificazione del Paese della Venezia Giulia e di Trieste. Da qui un intenso dibattito sul fatto che siamo o no una nazione oppure lo siamo stati ma ora non più, o forse non lo siamo stati mai.

Scrivo per una volta da esponente dell'Associazione Mazziniana e non da economista e osservo che per essere preoccupati, anche se non rassegnati, non occorre pensare al 2011 né occorre esasperare il confronto Nord-Sud che oggi tiene banco nella politica nazionale. Basta guardare agli anniversari dimenticati di quest'anno: 160 anni dalla Repubblica Romana e 150 dalla seconda guerra d'indipendenza. Sotto questo profilo bisogna dire che il Presidente Napolitano, eccellente Capo dello Stato, non è Ciampi e non sente al pari di lui la necessità di un costante richiamo ai valori del Risorgimento.

I solenni moniti di Napolitano sull'unità della Patria si rifanno ai valori della Costituzione repubblicana; ed è giusto, perché su di essa si basa il nostro essere, o almeno cercare di essere, una nazione. Ma non sarebbe bene aggiungere spessore storico alla Costituzione? Dire che essa anticipa di un anno la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e consacra i valori della solidarietà che hanno fatto da collante alle diverse culture politiche della Resistenza. Ma dire anche che essa riprende i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Romana del 1849: principi enunciati il 4 luglio, proprio quando le truppe straniere chiudevano l'esperienza politica e la trasformavano in lascito morale per gli italiani che solo dopo un secolo sarebbero riusciti a edificare la Repubblica italiana.

Se si aggiunge che la battaglia fu davvero di popolo e la difesa di Roma fu eroica ( e sappiamo che la nostra storia non è straripante di eroismo, o almeno non lo è la nostra fama ), dovremmo attenderci grande cura da parte delle istituzioni nel coltivare il ricordo di una sconfitta che più ancora di una vittoria potrebbe essere parte importante della nostra identità nazionale, come lo è la battaglia di Alamo per gli americani. Temo invece che siano ricordi scolastici di pochi e valori sentiti da pochissimi.

Circa la seconda guerra d'indipendenza, essa è la più sanguinosa per l'Italia che vi dette prova di fede civile e valore militare. Mezzo secolo fa il centenario fu celebrato in modo solenne alla presenza del Presidente della Francia che ricordò la fraternità italo-francese nella terribile battaglia di S. Martino e Solferino del 24 giugno 1859.

Non si pretende tanto, Presidente Napolitano, ma una parola che stimoli il ricordo, meglio se con un po’ di gratitudine, verso chi ha combattuto per far «risorgere un popol morto» e trasformare un’espressione geografica in uno Stato indipendente.

E non abbia paura di offendere nessuno.

Non i cattolici, che quasi all’unanimità hanno capito che il potere temporale è stato una maledizione per la Chiesa.

Non il Sud, che si é sentito tradito dalla successiva politica sabauda ma che al riscatto proprio e dell’Italia intera ha fornito un grande contributo di uomini e di idee.

Non la Lega, che dovrà ben capire che è motivo di orgoglio il generoso sacrificio di tanti volontari della Padania per unificare il Paese ( furono 63 i garibaldini provenienti dall’Università di Padova) .

In tal modo, oltre che prepararci a ricordare in modo degno il prossimo anno i 150 anni della spedizione dei Mille e l’anno dopo i 150 anni dell’unità nazionale, potremo anche aumentare il rispetto reciproco tra italiani e aumentare il rispetto degli altri nei nostri confronti.

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