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Il Piccolo 170308 – Archivi inglesi: i britannici avvisarono…

di Fabio Amodeo e Mario J. Cereghino

«La soluzione del problema di Trieste dipende dalla volontà di arrivare a un compromesso da parte dei governi di Italia e Jugoslavia (…) Al contrario, ognuno dei contendenti sembra voler vincere la partita, ad ogni costo. È un atteggiamento che, fino a questo momento, ha vanificato le iniziative promosse da Stati Uniti e Gran Bretagna per arrivare alla soluzione di un problema che rischia di diventare cronico: l'amministrazione militare , infatti, è sempre stata intesa come provvisoria». È il gennaio del 1954 e Philip Broad invia al Foreign Office le sue valutazioni politiche su Trieste e la Zona A nell'anno appena trascorso.

C'è la Guerra fredda e le tensioni politiche e militari regnano sovrane su ogni fronte geopolitico: da Washington, Londra e Berlino fino a Praga, Mosca, Pechino e Hanoi. E in Corea, dove un conflitto devastante ha appena messo a dura prova la fragile pace mondiale. In questo clima, ovviamente, ogni occasione è buona per attaccare il nemico ideologico, «slavo – comunista» o «servo del capitalismo» che sia. I National Archives di Kew Gardens ci vengono comunque in aiuto con i loro freddi resoconti su una delle aree più maledettamente problematiche della «Cortina di ferro» che si erge, come ama ricordare Winston Churchill, «da Stettino sul Baltico a Trieste sull'Adriatico».
All'inizio degli anni Cinquanta, nella Venezia Giulia e nella Zone A e B la situazione ristagna pericolosamente. È dal 1945 che le Grandi potenze discutono, a Parigi o a New York, su cosa fare di quelle terre di confine ma una soluzione definitiva appare ancora molto lontana. E sono soprattutto i triestini ad essersi ormai rassegnati al Governo militare alleato che sembra voler durare per molti decenni ancora. La Zona A – che comprende Trieste, un esiguo entroterra e le linee di comunicazione che vanno verso Monfalcone – è governata dal generale inglese John Winterton, mentre il political adviser è Broad, un funzionario del Foreign Office un po' annoiato dalla grana che gli tocca sorbirsi e che, proprio per questo, non stravede per gli abitanti della città di Saba, Slataper e Svevo.

Il 1953 si apre con una notizia incoraggiante. A Londra, un funzionario del Foreign Office riferisce ai suoi superiori su un colloquio sostenuto con l'ambasciatore italiano in Gran Bretagna, Manlio Brosio: «Nell'ultima parte della conversazione ho avuto l'impressione che l'ambasciatore pensasse a una soluzione provvisoria, che potrebbe diventare definitiva in un momento successivo. Ad esempio, ha accennato al fatto che, in via temporanea, la Zona A potrebbe andare all'Italia e la Zona B alla Jugoslavia, una soluzione pensata "per durare dieci anni". Brosio (e forse lo stesso Degasperi) sperano vivamente che le forze alleate si ritirino dalla Zona A. Ho replicato che, se tale ipotesi dovesse prendere corpo, si produrrebbe la reazione jugoslava nella Zona B, a meno che non si arrivi a un qualche accordo siglato a livello internazionale. L'ambasciatore ha risposto di sperare che a Tito sia impedito di inglobare la Zona B nella federazione jugoslava. Tuttavia, questa circostanza non porterebbe a conseguenze serie se la Zona A fosse consegnata all'Italia, anche in via provvisoria. Se si arrivasse a tale compromesso prima delle elezioni politiche di giugno, il governo Degasperi ne trarrebbe certamente un beneficio». (…)

A Trieste, intanto, l'intelligence service è in allarme. Scrive Broad: «Da fonti segrete molto attendibili, abbiamo appreso che l'Msi si sta preparando a provocare incidenti – anche "molto gravi" – in vista della ricorrenza del 20 marzo. Il Partito intende creare disordini più seri di quelli avvenuti nel marzo del 1952. I piani sono stati discussi nei dettagli dagli esponenti dell'Msi. Le cosiddette "squadre d'azione" sono già state allertate: le manifestazioni saranno dirette contro i britannici e la polizia della Venezia Giulia, ma non contro gli americani».

I disordini scoppiano l'8 marzo, nel quarto anniversario della Dichiarazione Tripartita. L'occasione è data dall'arrivo a Trieste del segretario nazionale dell'Msi, Augusto De Marsanich: «A Trieste, vari militanti dell'Msi hanno organizzato una manifestazione davanti alla sede del Fronte indipendentista. Una bomba a mano è stata lanciata contro la polizia ed è esplosa, ferendo 23 persone. Le prime indagini indicano che gli incidenti sono stati provocati da gruppi provenienti da Verona e da Padova».

Il 21 marzo, il political adviser invia al Foreign Office una relazione più ampia: «L'8 marzo, il segretario dell'Msi, De Marsanich, ha tenuto un comizio (autorizzato) dinanzi a circa duemila persone . Il tono del discorso era anti-jugoslavo e anti-britannico e conteneva accesi riferimenti agli eventi del 20 marzo del 1952. Alla fine, varie centinaia di persone si sono dirette verso la sede del Fronte indipendentista. Giunti davanti all'edificio, i manifestanti (ridotti a una cinquantina) hanno trovato schierate le forze della polizia. Ma, all'improvviso, una bomba a mano è esplosa tra i dimostranti. È probabile che sia sfuggita di mano all'attentatore un attimo prima del lancio; oppure, che l'ordigno sia stato lanciato ad una distanza troppo breve (la spoletta è stata rinvenuta poco dopo). I feriti (23 in tutto) sono stati ricoverati in ospedale: 4 provenivano da Verona e 3 da Padova».

 

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