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Il mistero di Alberto Diana, forse vittima della strage di Castua (Voce di Romagna 12 mag)

Alberto Diana si era arruolato nell’Arma nel 1921; dopo aver prestato servizio nel Veneto, nella Venezia Giulia e in Sicilia, dove era rimasto sei anni, il 23 agosto 1936 viene assegnato alla stazione di Castel San Pietro Terme, alle dipendenze della Compagnia di Imola. Nel 1938, il 1° dicembre, Diana viene poi destinato alla Legione di Trieste, e precisamente al Gruppo di Fiume, in forza alla stazione di Castelnuovo d’Istria, che dipendeva dalla Compagnia di Abbazia. In quella piccola località resta fino al 29 dicembre 1942, quando è trasferito alla stazione di Fiume Braida.

 

Si era sposato con la signora Italia Bogassich, naturalizzata Borghesi; dal matrimonio sono nate tre figlie che vivono a San Benedetto del Tronto. La nipote Paola Piunti, dopo aver rintracciato attraverso internet il nome del nonno dal volume Le vittime di nazionalità italiana a Fiume 1939-1947, dove come luogo di nascita è indicato Montiano, si è messa in contatto con la Società di Studi Fiumani ed ha fornito questa interessante testimonianza.

 

“A mia zia risulta che il nonno sia stato convocato il 5 maggio 1945 dal maresciallo dei carabinieri, perché avrebbero dovuto prendere servizio insieme ai partigiani slavi. Sempre mia zia, che allora aveva 12 anni, vide suo padre il giorno 5 maggio scortato dai partigiani di Tito insieme ad un suo collega amico, di cui purtroppo non ricorda il nome. Quando mia nonna tornò a casa, trovò tale collega che la informava che lui e mio nonno erano stati presi dagli slavi, che lui stesso era riuscito a scappare ed era corso ad informarla, ma che non sapeva dove avevano portato gli altri, incluso il nonno. Mia zia non ricorda il nome di questa persona. Mia nonna andò a casa del podestà (il senatore Riccardo Gigante ndr) con la foto di mio nonno e la signora le riferì che era stata con una scorta armata a Castua, presso la chiesa, che aveva visto il corpo di un fucilato con una divisa da carabiniere, rossa e nera. Sottolineo che non tutti i carabinieri quel giorno avevano tale divisa, ma avevano messo quella verde, ma che non poteva dire se era mio nonno perché il viso era sfigurato. Mia nonna non andò personalmente a verificare; fu scoraggiata da familiari e conoscenti in quanto la tensione a seguito dell’arrivo dei partigiani slavi era molto forte e si erano verificate sparizioni anche dei familiari che avevano iniziato le ricerche dei loro congiunti scomparsi”.

 

Tenuto conto che il senatore Gigante è stato ucciso il 4 maggio, è evidente che se il corpo con la divisa da carabiniere notato dalla vedova era di Diana, la sua cattura non può risalire al giorno 5 bensì al 4. La famiglia Diana, rimasta a Fiume fino al 1947, non ha mai smesso di cercare la verità sulla scomparsa del congiunto. La signora Italia, ricorda la nipote Paola, nel 1956 si era rivolta alla delegazione italiana presso la commissione speciale dell’Onu per i prigionieri di guerra. Questa la risposta: le autorità jugoslave non erano in possesso di notizie circa l’arresto di Diana e che per la Croce rossa jugoslava non figurava nell’elenco dei prigionieri di guerra.

 

Successivamente, nel 1967, la signora si era rivolta a un parente, ufficiale dell’Arma; si tratta del capitano Luigi Scarpa, che nel 1945, con il grado di maresciallo maggiore, era addetto all’ufficio comando della Legione di Trieste. Scarpa aveva scritto al generale Efisio Anedda, che a sua volta si era attivato presso Onorcaduti, senza purtroppo ottenere risultati. Diana non risultava infatti in nessuno degli elenchi cimiteriali forniti dalle autorità dell’allora Jugoslavia e nemmeno nel volume pubblicato dall’ex sindaco di Trieste, il rovignese Gianni Bartoli, con i nominativi di circa cinquemila persone infoibate o deportate dagli slavi. Alberto Diana potrebbe dunque essere una delle vittime dell’eccidio di Castua, avvenuto il 4 maggio 1945, i cui corpi sono poi stati sepolti in una fossa comune nel bosco della Loza, nei pressi di una roccia dalla forma di teschio.

 

I cadaveri in attesa di una sepoltura cristiana sono una decina, alcuni hanno un nome: si tratta del senatore del Regno Riccardo Gigante, di Nicoletto Marzucco, giornalista e legionario fiumano, e del maresciallo della Guardia di Finanza Vito Butti, che verrà successivamente riesumato e trasferito nel cimitero di Mattuglie, nei pressi di Abbazia. Solo recentemente i resti del sottufficiale sono stati traslati nel cimitero di Piacenza, città dove si era trasferita la vedova con le figlie. La signora Eva Butti, figlia del maresciallo, che all’epoca aveva 14 anni, si era recata a Castua, assieme alla moglie di Marzucco, subito dopo aver saputo della partenza dalla caserma Diaz di un camion su cui era stato caricato un gruppo, visto passare da alcuni testimoni in viale Trieste, di cui faceva parte il padre. I cadaveri degli sventurati erano sfigurati e con le mani legate dietro alla schiena con il filo spinato.

 

Per oltre 50 anni il luogo della sepoltura del senatore Gigante era rimasto sconosciuto; eppure la vedova del maresciallo Butti, la signora Vita Ivancich, che era nata proprio a Castua, aveva inviato nel 1960 una lettera a “Difesa Adriatica”, organo dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, in cui parlava espressamente delle presenza del senatore nel gruppo degli sventurati compagni del marito. Nessuno allora si era mai preoccupato di sentirla. Quelle affermazioni erano motivate dalle precise testimonianze fornitele dalle donne di Castua, confermate dalle ricerche svolte in tempi recenti da Amleto Ballarini, presidente della Società di Studi Fiumani, che grazie anche alla preziosa collaborazione del parroco del luogo, hanno permesso di arrivare alla roccia a forma di teschio lungo la strada che porta al bosco della Losa, dove si trova la fossa comune.

 

Ogni anno nella chiesa di Castua viene celebrato un rito in memoria delle vittime di quel feroce eccidio. Dal 2003 la Società di Studi Fiumani si è attivata presso Onorcaduti al fine di dare al senatore Gigante e ai suoi compagni di sventura una degna sepoltura. Si attende la riunione dell’apposita commissione italo-croata, che non dovrebbe tardare molto. Riccardo Gigante era nato a Fiume il 27 gennaio 1881; di sentimenti italiani, era stato sempre in prima fila nelle varie manifestazioni irredentiste nel periodo antecedente la prima Guerra Mondiale. Per rinsaldare il sentimento di italianità nei suoi concittadini aveva organizzato due pellegrinaggi a Ravenna sulla tomba di Dante nel 1908 e nel 1911. Allo scoppio della prima Guerra Mondiale si era recato in Italia per arruolarsi volontario nel Regio Esercito raggiungendo il grado di capitano.

 

Aldo Viroli

“La Voce di Romagna” 12 maggio 2012

(courtesy Mlh)

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