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Il kitch della nuova Capodistria (Voce del Popolo 05 feb)

di Franco Juri

Capodistria è ormai diventata una specie di Disneyland. Ed è, nel suo splendore kitch, la miglior metafora del nostro paesaggio politico nazionale. Con la sua nuovissima fontana multicolore, che assomiglia a un bunker o alla toilette blindata di un qualche sceicco di Dubai, sembra oggi più un regno dei cartoni animati e delle fantasie virtuali – quelle che deliziano tanti bimbi moderni -, oppure una grande discoteca, per la gioia di adolescenti e consumatori di ecstasy, che un'antica città di fattura veneto-rinascimentale. L'amministrazione comunale ha riempito la riva di "eco-lampioni" che sembrano ispirati al film di Spielberg "La guerra dei mondi". Irradiano una luce inutile, ma colorata, i colori cambiano continuamente, come in un prodigio da baraccone; rosso, verde, viola, blu, poi di nuovo verde, rosso, e così via, ogni cinque o dieci secondi.

Alcuni dei nuovi lampioni già non funzionano. Si spera siano in garanzia. Sono costati, a noi contribuenti, circa 250mila euro. Ci hanno detto che erano ecologici, fotovoltaici. Poi s'è scoperto l'imbroglio. Altro che solare, ci paghiamo anche un po' di bolletta dell'elettricità in più. Tutti questi cromatismi colorano l'immagine esotica delle grandi palme messicane piantate ormai dappertutto, fin su, a ridosso del Brolo e della chiesa. Omaggiano S. Nazario, naturalmente, rivestite, per evitare che d'inverno si raffreddino. L'immagine della città è letteralmente sorprendente. Persino eccitante, dicono. Come un bordello o uno di quei "venera-shop" a luci rosse, nascosti in qualche vicolo.

A molti, così truccata e mascherata, piace. A me sembra l'apoteosi del cattivo gusto, ma si sa, io sono uno con la puzza sotto il naso. Me lo dicono anche certi concittadini connazionali, paghi dei soldi che il comune fa entrare nelle casse della minoranza. "Bolje kič, nego nič!", meglio il kitch che il nulla, mi dicono. Pazienza. Nel frattempo quello che un tempo era il gioiello della Capodistria veneziana, la Loggia, da oltre dieci mesi è coperta da un tendone, ormai sempre più sporco e strappato, che creando l'illusione di un prossimo inizio dei lavori di restauro, nasconde le ortiche sulle scale e qualche clochard – ce ne sono parecchi anche a Capodistria – che nell'interno cerca riparo dal freddo, in attesa che qualcuno, magari il comune, si decida a rimetterla un po' a posto per poi affittarla, in modo che si possa, finalmente, andarci ancora a prendere il caffè, come un tempo facevano anche Joyce e Quarrantotti Gambini. Beh, ogni volta che lascio la mia città, e vado a Lubiana, in parlamento, penso come, in fondo, tutto il mondo sia paese. Tutti quei colori e quegli spruzzi cromatici me li ritrovo nell'alcova della politica nazionale.

Ora, mi dicono, rivoteremo il rapporto sulla Finanziaria 2007 che abbiamo bocciato la settimana scorsa. E questa volta – dice perentorio Borut Pahor – dobbiamo farlo passare, anche se la Corte dei conti ha dimostrato che è un tantino fraudolento, e che invece di un ammanco reale di 9 milioni di euro, insiste a presentare un plus di 37 milioni. Questione di prestigio politico, ovvio. Se non lo rivotiamo, come vuole lui, Janša si arrabbia e se ne va. E i due terzi evaporano. Sarebbe il prezzo dell'allargamento della Nato a Croazia e Albania. Non so perché, ma la politica – che ieri ha bloccato la Croazia nell'UE e oggi è pronta ad ingoiare un'evidente fraudolenza per portare la stessa Croazia nella Nato – mi ricorda tanto le fontane e le lucette da cartone animato della mia città. Un inciucio al neon. Ma in che razza di epoca viviamo?

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