I trascorsi polesani di Tito Stagno, il cronista dello sbarco sulla luna

Nei giorni scorsi è venuto a mancare il giornalista Tito Stagno, divenuto celebre soprattutto per aver effettuato la cronaca televisiva dello sbarco del primo uomo sulla luna.

Grazie a questo suo importantissimo ruolo svolto nella notte in cui l’Italia rimase col fiato sospeso davanti ai televisori in bianco e nero, due astronomi hanno recentemente battezzato col suo nome un corpo celeste da essi scoperto.

Negli articoli che l’hanno ricordato, pochi si sono soffermati sugli anni dell’infanzia trascorsi a Pola, ove il padre era stato trasferito per lavoro, proprio negli anni della Seconda guerra mondiale, delle foibe e dell’esodo.

Ne aveva parlato lui stesso al Corriere della Sera del 3 febbraio 2019 in un articolo di cui riportiamo il passaggio più significativo.

Sono nato a Cagliari, poi ci siamo trasferiti a Sassari, quindi a Parma e, infine, a Pola. Papà era direttore della Confindustria locale. Frequentavo il ginnasio Giulio Cesare ed ero sempre a caccia di cibo.

Un giorno le SS mi fermano e mi costrinsero a guardare, dalla dogana di Pola, i partigiani impiccati. Un giovanotto con cui avevo parlato il giorno prima aveva il cervello che usciva dalla nuca.

Stessa storia con gli jugoslavi: mentre cercavo farina mi chiesero i documenti. Temevo il peggio e invece cominciano a darmi pacche sulle spalle. Da non credersi: era perché mi chiamavo Tito. Mi fecero salire sul camion e mi diedero un passaggio fino a Isola d’Istria.

Poco dopo arrestarono papà. Mamma mi mise su un barchino per Trieste e mi disse di raggiungere i nonni a Cagliari. Avevo 15 anni. Lei rimase lì con i miei 7 fratellini aspettando la liberazione di papà. A Trieste dormii in un centro profughi. Poi ci portarono a Udine, dove saltai su un treno merci che attraversò l’Italia fermandosi per giorni interi in stazioni di provincia. Non avevo nulla da mangiare. In Toscana un soldato mi diede un barattolo di fagioli. Li ingurgitai tutti e, in vita mia, non sono più stato così male.

A Napoli m’intrufolai, senza fare la coda, su una nave militare diretta alla Maddalena. Arrivammo di sera ed ero talmente affamato che sentii da lontano il pesce sfrigolare nell’olio in una trattoria. L’indomani ero a Cagliari.

Per fortuna papà venne liberato e dopo qualche mese la famiglia si ricongiunse in Sardegna, dove abbiamo fatto la fame fino a quando papà è stato assunto in Regione.

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