È stato il professor Marco Pizzo, vice-direttore del Museo Centrale del Risorgimento di Roma, a illustrare mercoledì 20 aprile 2016 al pubblico della Casa del Ricordo il tema “La Dalmazia nelle opere dei pittori-soldato della Prima guerra mondiale”, nell’ambito del ciclo di iniziative coordinate dalla professoressa Ester Capuzzo in sinergia con Roma Capitale.
Dopo un indirizzo di saluto effettuato da Marino Micich, direttore dell’Archivio – Museo Storico di Fiume, il quale ha altresì ricordato il patrocinio morale all’iniziativa da parte dell’Associazione Dalmati Italiani nel Mondo – Libero Comune di Zara in Esilio (Padova) e che istriani, fiumani e dalmati hanno cominciato a lottare per la propria italianità sin dalla fine del Settecento, il relatore ha iniziato una carrellata di nomi noti e meno noti di artisti che hanno trasposto nelle proprie opere quanto vivevano nella quotidianità del conflitto. A cominciare da Giulio Aristide Sartorio, il quale, però, elaborava i suoi quadri a partire dalle foto scattate sul fronte, finendo per creare scene ricostruite artificialmente ed immagini della Grande Guerra codificate. Le sue tele, così come quelle di altri pittori, contribuirono durante il conflitto ad un’opera di propaganda, grazie all’allestimento di numerose mostre in tutta Italia, i cui introiti andavano in beneficenza a favore di orfani, mutilati e della Croce Rossa Italiana (la solenne esposizione di Galleria Colonna nel 1918 in particolare).
Il prof. Pizzo ha anche ricordato che il Museo del Risorgimento, interpretando gli eventi bellici allora in corso come una Quarta guerra d’indipendenza, effettuò in tempo reale una raccolta di diari, disegni, fotografie, manifesti, cartoline e cimeli che dette vita ad un’imponente collezione, arricchita nel dopoguerra da donazioni e integrazioni fornite dalle famiglie di caduti e reduci. È qui possibile rinvenire non solo gli originali dei pittori-soldato presentati durante tale conferenza, ma anche centinaia di opere “minori” realizzate da improvvisati soldati pittori, che, anche per ovviare ai divieti della censura riguardo le fotografie, affidavano a schizzi e disegni quelle emozioni che poeti come Ungaretti esprimevano nelle poesie. Negli strali della censura incappò ad esempio l’unico cineasta apparso in prima linea, Luca Pomeglio, il quale rappresentò con eccessivo realismo e senza retorica la quotidianità del fante, contravvenendo così alle disposizioni dello Stato Maggiore in materia di propaganda.
Di particolare interesse è la figura di Aldo Carpi, le cui realizzazioni artistiche riguardarono prima e seconda guerra mondiale: in quest’ultima circostanza documentò la propria tragica esperienza nel campo di concentramento nazista, in precedenza raffigurò soprattutto episodi del fronte albanese, dedicando particolare attenzione ai prigionieri austro-ungarici che l’esercito serbo in ritirata nel gelido inverno 1915-’16 si trascinò dietro in condizioni pietose e che sarebbero poi finiti in campo di prigionia all’Asinara.
Nel novero di questi antesignani dei fotoreporter in zona di guerra spicca anche una figura femminile: Gabriella Fabricotti dipinse molti acquarelli a partire da foto da lei stessa scattate sul fronte, ma è ancora poco nota poiché la sua collezione è casualmente emersa appena l’anno scorso dai magazzini di Castel Sant’Angelo.
Del tutto particolari appaiono le opere di Anselmo Bucci, dipinte sul legno delle cassette di munizioni che l’autore trovava mentre prestava servizio a Venezia nella Regia Marina: la sua cifra stilistica è un tentativo di recuperare la rapidità e l’essenzialità del disegno medioevale. Si tratta soprattutto di soggetti legati alle attività della flotta italiana e quindi vediamo navi da guerra sfilare nella laguna veneta ovvero operare lungo la costa istriana e dalmata, ma anche ritratti di commilitoni: in ogni caso si tratta di opere che possiedono tutte una didascalia, un’indicazione di luogo e data e sono state raccolte nei cataloghi “Impressioni di guerra”e “Marinai a terra”.
Se è maggiormente noto al pubblico Italico Brass, pochi conoscono Ludovico Pogliaghi, il quale tuttavia non solo realizzò i mosaici pavimentali del Vittoriano, ma anche molti quadri monocromi simili alle fotografie dell’epoca e raffiguranti la Grande Guerra in montagna, tutti curiosamente intitolati “Rifugio alpino” oppure “Veduta alpina”.
C’è stato, infine, spazio per presentare anche caricature di Amos Scorzoni e dipinti dei luoghi del fronte realizzati subito dopo il conflitto da Vito Lombardi, nonché il celebre “Infermeria di bordo” di Cipriano Efisio Oppo: in quest’opera il futuro fondatore della Quadriennale d’arte dette prova di padroneggiare gli stili allora dominanti, palesando in particolare influssi di Cezanne.
Lorenzo Salimbeni