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L’Istituto con anima europea che vuole continuare ad esistere (Voce del Popolo 29mag13)

Il prof. Fulvio Salimbeni è il neoletto presidente dell’Istituto per gli incontri culturali mitteleuropei di Gorizia, fondato nel 1966 dall’allora sindaco Michele Martina e da un gruppo di giovani intellettuali di Gorizia. Con quale scopo?

“L’obiettivo era proprio di ricomporre, su un piano più alto di quello puramente politico o economico, un tessuto di rapporti, valori e tradizioni che era stato disarticolato a seguito della Prima e poi della Seconda guerra mondiale”.

Docente universitario, Salimbeni si è sempre occupato delle tematiche di confine, acuto osservatore e conoscitore delle dinamiche che hanno prodotto in queste terre tragedie e sofferenze ma anche slanci culturali di notevole spessore. Quali, prof. Salimbeni, in questi quasi cinquant’anni di vita i percorsi dell’Istituto?

“Il momento di maggiore impegno sono stati certamente i convegni internazionali organizzati con cadenza annuale, nei quali vengono presentati i risultati delle ricerche effettuate con l’ausilio di studiosi, in genere scelti tra docenti delle Università dell’Europa centrale e danubiana. Abbiamo ospitato in tutti questi anni altissime personalità della cultura centro europea: da Giuseppe Ungaretti ad Hans Sedlmayer, da Massimo Mila a Sándor Scheiber, da Adam Wandruszka a William M. Johnston, da Miklós Vásárhelyi a Roman Vlad, a Ovidiu Drimba, a Miklós Hubai, a Arnold Mandel, a Ryszard Matuszewski. Intensi i rapporti con intellettuali sia della Slovenia che della Croazia, con i quali abbiamo sviluppato riflessioni sulla storia, l’arte, la letteratura”.

Quali sono gli altri segmenti della vostra attività?

“Nel corso di decenni l’Istituto si è ritagliato un ruolo di qualificato forum di studi e ricerche, dibattiti, convegni, presentazioni di libri, mostre, lezioni e conversazioni sul centro Europa. Ha sviluppato un’ampia rete di collaborazioni con università italiane e straniere, consolati e centri culturali, promuovendo una nuova immagine, dinamica e costruttiva, del ruolo della cultura, che recentemente si è anche aperto al settore giovanile mediante l’organizzazione di un concorso cinematografico per gli studenti europei sotto i vent’anni e con l’attivazione di alcuni cicli seminariali rivolti a giovani ricercatori al fine di approfondire mediante un approccio interculturale e multidisciplinare tematiche relative all’area centro-europea. Presso il nostro Centro opera inoltre una corposa biblioteca”.

Ora tutto questo rischia di implodere per mancanza di finanziamenti?

“Tutti sappiamo che per effetto della crisi ci sono stati drastici tagli nella cultura, che hanno prodotto a loro volta un indebitamento che rischia di soffocarci. Sono venute meno le garanzie di un sistema voluto dagli stessi enti pubblici, per cui su un loro finanziamento doveva corrispondere una congrua partecipazione del beneficiario. Mancando il sostegno, rimangono solo i debiti. Ma anche la volontà di non cedere vista l’importanza di una realtà come quella dell’Istituto, che aderisce perfettamente – attraverso gli strumenti della poesia, la pittura, le riflessioni sulle minoranze nazionali – a quella dimensione europea che si sta cercando di conquistare a tutti i livelli”.

Quale soluzione?

“La battaglia. L’Istituto oggi si regge su entusiasmo e volontariato dei soci che, per fortuna credono nel nostro ruolo. Stiamo sviluppando in particolare dei rapporti con l’Università di Udine, che si sta dimostrando molto sensibile a questo discorso, e ci sta aprendo nuovi spazi nei dipartimenti di italianistica, anche di Slovenia e Croazia. Contiamo molto su queste sinergie”.

I progetti europei potrebbero traghettare l’Istituto in porti sicuri?

“È una speranza, anche se siamo ben consapevoli che per accedere ai progetti europei si devono comunque investire, nella progettazione, fondi che non abbiamo. Faremo dei tentativi, ci sta seguendo in questa fase l’amico Giorgio Tessarolo al fine di individuare percorsi adatti alla nostra situazione, che semplifichino il groviglio di regole e documenti e ci evitino clausole capestro. Intanto si continua a programmare, in autunno ci sarà un incontro di studio dedicato alla Croazia dopo la sua adesione all’UE con slavistica, didattica della storia, storia condivisa per un manuale dedicato alle scuole”.

Quello della storia condivisa è un tema controverso, lei cosa ne pensa?

“L’esperienza di Germania e Francia dimostra che funziona di qua e di là dal Reno. Il CRS ha prodotto un volume sulla storia dell’Istria che è un esempio di collaborazione e trasversalità. Non soltanto, credo nell’opera prodotta dalla famosa Commissione mista di storici che in anticipo sui tempi ragionava in questo modo. Certo, l’atteggiamento deve essere necessariamente positivo, non di contrapposizione ma senza tralasciare aspetti positivi e negativi e le complessità di storie che si sono intrecciate. Pensiamo all’impero austro-ungarico con 18 popolazioni: raccontare il nostro mondo è una sfida che contribuisce a far crescere l’Europa delle genti”.

Come si rapporta uno storico con gli sconvolgimenti del presente?

“Stiamo vivendo situazioni che sembravano irripetibili nel calderone della storia. Mi riferisco alla demagogia della politica, al populismo dell’informazione che hanno portato ad eventi tragici nel Novecento. Vedo nel Vecchio continente un sogno in crisi per miopie economiche. La mia passione per Mazzini mi porta invece a credere nell’Europa, nella sua visione, quella che sembrava solo un’utopia è riuscita a nascere e a crescere. Dovremmo imparare, a questo punto, a considerare ciò che ci unisce, come sottolineava Stefan Zweig nel suo libro “La patria comune del cuore” edito anni fa da Frassinelli. Zweig consigliava di investire sulla scuola perché, nonostante qualcuno sostenga che con la cultura non si mangia, è anche vero che con la cultura si cresce e dove c’è sviluppo c’è vita”.

Rosanna Turcinovich Giuricin
“la Voce del Popolo” 29 maggio 2013

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