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Gorizia: i resti dei bunker anti-Tito (Il Piccolo 11 mar)

Un loro numero preciso non c’è. Di certo sono svariate decine e sono presenti nel territorio di ogni comune. Stiamo parlando degli avamposti campali realizzati per fronteggiare – fin da subito dopo la fine della seconda guerra mondiale – la minaccia jugoslava.

Si tratta di un’articolata serie di bunker e fortificazioni capaci di accogliere e, soprattutto, di celare piccole unità militari, in grado di operare e combattere in modo sostanzialmente indipendente. Alcune di queste strutture erano facilmente riconoscibili fino a qualche tempo fa perché contraddistinte da un’inconfondibile copertura di colore verde. Coperture che, però, da alcuni anni a questa parte sono state completamente rimosse.

Ora, restano solo una manciata di scalcinate torrette d’osservazione e i tantissimi scavi nel terreno, alcuni dei quali ancora protetti da piccole cupole metalliche. Sotto, arrugginiti, ci sono gli affusti per le mitragliere, i cannoni e i mortai che molte decine di migliaia di soldati, specie negli anni ’50 e ’60, hanno imparato a utilizzare in vista di un possibile attacco di Belgrado. Gli avamposti di maggiori dimensioni potevano ospitare in un ricovero seminterrato anche un carro armato Leopard che, in questo modo, poteva sfuggire alla ricognizione aerea e restare nascosto fino all’ultimo prima di uscire allo scoperto sul campo di battaglia. Alcuni altri, invece, avrebbe ospitato dei posti di comando, direttamente collegati con gli stati maggiori delle grandi unità di manovra stanziate nell’Italia nordorientale.

Difficile dire quanto realmente efficace si sarebbe rivelata alla prova del fuoco questa organizzazione territoriale così capillare e frammentata. La storia, fortunatamente, non ha dato modo di rispondere a questa domanda.

Nicola Comelli

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