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Gli esuli insieme intorno alla Fiumana (Il Piccolo 26 nov)

di BRUNO LUBIS

TRIESTE Sono passati 65 anni da quell’ultima partita. La Fiumana aveva battuto il Vittorio Veneto 4-1 e quella vittoria aveva chiuso la sua storia. La si riapre oggi solo perchè un personaggio molto stimato nel calcio, Sergio Vatta, la vuole iscrivere al campionato di serie C, lo stesso che la Fiumana frequentava abiltualmente.

Appunta, la Fiumana, aveva finito la sua storia nel campionato 1942-43, la guerra stava soffocando tutte le iniziative del Vecchio Continente e anche il calcio era un di più che doveva cedere il passo alle armi, alle morti, alla fame. Gli spostamenti non erano sicuri, solo il Torino di Ferruccio Novo e dell’allenatore ebreo Ebstein riuscivano a trattenere i giocatori fuori dall’esercito grazie alle conoscenze in alto loco. In quel Torino giocava un fiumano, Ezio Loik, polmoni capaci, carattere grintoso e amico di Valentino Mazzola col quale formava la coppia di creativi del centrocampo già al Venezia. Novo li aveva addocchiati su consiglio di Ebstein e li aveva ingaggiati per la maglia granata che avrebbe stupito l’Italia e l’Europa nel dopoguerra con vittorie e scudetti in serie.

Loik si allenava ancora mentre i giocatori della Fiumana vivevano l’occupazione nazifascista e poi la reazione dell’esercito partigiano di Tito. Non c’era da ridere, proprio per niente in quella penisola posta a Est dello Stivale, approdata all’Italia da una ventina d’anni e già in procinto di cambiare bandiera.

L’esodo di tanti italiani alla fine della guerra aveva sancito la morte della Fiumana ma il suo passato, scarso di trionfi mondiali, era stato fucina di giocatori davvero interessanti. Intanto Marcello Mihalich che fu ingaggiato da Napoli, Venezia, Inter e specialmente della Juventus con la quale vinse lo scudetto del 1933. Fu azzurro ai Mondiali del 1934. Poi va ricordato uno dei centravanti più forti della sua epoca, Rodolfo Volk, capocannoniere della Roma nel 1930 e giocò poi a Pisa e alla Triestina. Di Ezio Loik si è già detto e lo si ricorda come uno dei grandi granata ghermiti dal destino alle glorie patrie. Ma vanno citati i fratelli Mario e Giovanni detto Nini Varglien (o Varljien cone si scriveva un tempo), veri campioni nell’atletica, capaci di tempi a livello nazionale nei 100, 200, salto in lungo e salto in alto) oltre che dei campioni di calcio, titolari con la maglia della Juventus, vincitori di cinque scudetti con la Vecchia Signora.

Che strano, da Fiume – a parte Volk – i giocatori importanti sono finiti a Torino con la Juventus, Mihalich e i fratelli Varglien; Ezio Loik ha vestito invece la maglia granata del Grande Torino.

E siamo a Sergio Vatta, uno dei maestri della gioventù dotata per il gioco del pallone. Vatta, assieme al fratello, è stato esule da Zara e poi da Fiume. Giocatore per nulla eccelso ma con la vocazione del maestro, fu per quindici anni responsabile del settore giovanile del Torino dove fece vedere il meglio di sè. Riusciva a plasmare il carattere dei virgulti e li rendeva grintosi all’inverosimile. Corretti sempre ma con una carica agonistica nell’animo che li rendeva capaci di ogni impresa. Vatta portò la Primavera granata a spopolare per un decennio, sfornò giocatori di classe come Cravero, Lentini, Pulici, e tanti altri come anche Marino Lombardo che nel cuor mi sta. Una grinta che era caratteristica prima della Fiumana. Alcuni vecchi istriani di quella zona, col quartino a portata di mano, discettava dei massimi sistemi calcistici della loro terra e riandavano al Grion di Pola, all’Ampelea e alla Fiumana. Riconoscevano alla Fiumana uno spirito che le altre avevano in minor quantità.

Ora, come detto sopra, i fratelli Vatta, Sergio e Antonio che è anche esponente di spicco della comunità degli esuli istriani e dalmati a Torino, rivuole nel capoluogo piemontese la Fiumana. In serie C è morta e in serie C deve rinascere, la richiesta alla Federcalcio e alla Lega è stata presentata e chissà quando la pratica verrà esaminata e discussa. Perchè a Torino? Ma per il fatto che i Vatta là abitano e, rifacendosi agli esempi più antichi, nella Juventus sono stati raccolti i trionfi più significativi dai giocatori di Fiume, quel vecchio e prospero porto della monarchia ungherese, costretto a seguire la decadenza emporiale che fu anche di Trieste non appena l’impero dell’Austria Felix fu sepolto nel 1918. L’esercito partigiano di Tito ripagò con soprusi i soprusi del fascismo in quella terra e non permise che nulla di italiano avesse vita nell’Istria che passò alla Jugoslavia.

C’è un precedente di società sportiva che trasmigrò dall’Istria in Italia: la Pullino di Isola d’Istria, grazie all’impegno di Emilio Felluga, trasferì nome e blasone a Muggia dove ancor oggi prospera (magari non con i risultati di quei rematori d’anteguerra). Per il canottaggio si potè fare già un quarantennio addietro, col calcio è più difficile, c’è crisi di soldi, di talenti, troppi i club professionistici, troppo invadente la tv che sorregge un baraccone che ha perduto valori dello sport come l’equità, la gerarchia delle vittorie e gli insegnamenti della sconfitta. A chi interessa di qualche migliaia di esuli che ricordano quando, bambinetti appassionati di calcio, si sistemavano come tanti gabbiani sulla falesia sovrastante lo stadio di Cantrida perchè non avevano una lira per il biglietto? Sono loro che rivogliono la Fiumana, al diavolo altri discorsi di revanchismo.

Ma la risposta istituzionale è già arrivata: il presidente della federcalcio Abete ha detto che l’iscrizione della Fiumana in serie C non può realizzarsi.

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