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Gli Esuli aspettano ancora gli indennizzi (Il Tempo 10 feb)

Che se ne parli sempre di più, che il Giorno del Ricordo non sia soltanto una vuota e stereotipa rievocazione di quei tragici fatti per "troppo tempo ignorati dalla memoria storica".
È l'appello che ribadisce oggi Marino Micich, direttore del Museo Archivio Storico di Fiume di Via Antonio Cippico al quartiere Giuliano-Dalmata di Roma. La mostra permanente che narra l'esodo degli esuli istriani e l'eccidio delle foibe è aperto tutti i pomeriggi: la mattina ci sono le visite guidate per le scolaresche.

«Lo abbiamo chiesto al ministero dell'Istruzione affinchè questa pagina di storia – prosegue Micich – abbia il suo giusto spazio nei libri di testo. In alcuni c'è già, in altri c'è ancora molta parzialità. Chiediamo una maggiore sensibilità come recita la legge '92/2004. Che la conoscenza di questi eventi non sia solo lasciata alla buona volontà dei professori». Il ministro dell'Istruzione Gelmini ha inviato una lettera a tutti i dirigenti scolastici italiani affinchè oggi si organizzino corsi di approfondimento sugli eventi che «costrinsero centinaia di migliaia di italiani, abitanti dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, a lasciare le loro case spezzando secoli di permanenza continuativa in quei territori». Lo stesso Marino Micich con il sindaco Gianni Alemanno accompagnerà duecento liceali romani in una «tre giorni» sui luoghi della tragedia: le foibe di Basovizza, il campo profughi di Padriciano a Trieste, Fiume e Pola.

Micich, cosa ricordiamo noi?

«Fiume, oggi Rijeka, che apparteneva all'Italia dal 1924 fu ceduta alla Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia con il Trattato di Parigi del 1947. Gli iugoslavi già l'occupavano militarmente dal '45. Agli italiani ivi residenti, circa 50.000, fu chiesto di optare fra i due stati. Non meno dell'80% dei cittadini scelsero la via dell'esodo in Italia».
 
Arrivarono in un paese stremato dalla guerra…

«Molti istriani e dalmati che non avevano parenti vennero accolti nei campi profughi. Per esempio i miei genitori arrivarono qui a Roma dove c'erano i padiglioni dell'ex villaggio degli operai che costruirono l'Eur, abbandonato dai primi anni '40».
 
Il massacro delle foibe? Chi furono le vittime? I carnefici furono processati?

«Il nome è quello degli inghiottitoi di natura carsica comuni in Istria dove furono rivenuti nell'autunno del 1943 i cadaveri di centinaia di vittime. Quando, dopo l'8 settembre 1943, l'esercito italiano si dissolse, i partigiani slavi di Tito s'infiltrarono in Istria e in Dalmazia. Subito ebbero inizio le uccisioni di italiani, le sevizie e gli infoibamenti che proseguirono anche dopo la fine della guerra. Le vittime, circa dodicimila, appartenevano alla piccola-media borghesia, erano preti, maestri di scuola, gente che portava avanti la coscienza italiana e che non era gradita ai comunisti. Tutti scomparsi e uccisi senza un regolare processo che motivasse la condanna a morte. Ammazzati solo per il fatto di essere italiani. Fu un genocidio studiato a tavolino. E nessuno ha pagato».

Cosa chiedono al governo italiano i sopravvissuti e i loro eredi?

«Chi ha optato per l'Italia ha dovuto lasciare in Istria-Dalmazia tutti i beni che furono nazionalizzati e servirono per pagare i danni di guerra. Nel corso dei decenni gli esuli istriani hanno ricevuto dallo Stato i due terzi dell'indennizzo dei beni abbandonati. Manca ancora una tranche. È un fatto simbolico, di etica ma noi ci teniamo. C'è anche la possibilità di restituzione di alcuni beni nella zona B dell'Istria. Ma deve esserci un'intesa tra il governo italiano e quello croato».

Natalia Poggi

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